Teatro Zandonai

Il teatro occupa un posto di primo piano nel cuore degli abitanti di Rovereto per i quali l’elegante facciata chiara rappresenta un elemento architettonico irrinunciabile e di primo piano. Il complesso è intitolato alla memoria di Riccardo Zandonai che nel 1919 vi allestì l’opera “Francesca da Rimini”. La costruzione del teatro comunale, un tempo chiamato "Sociale", risale al 1783 su progetto dell'architetto Filippo Maccari. Fu il primo teatro del Trentino, frutto dell'atmosfera culturale aristocratico-borghese della Rovereto del secolo XVIII. In origine la costruzione aveva caratteri stilistici assai semplici, limitata nelle dimensioni e nelle funzioni ma con il corpo del palcoscenico, la platea e gli ordini dei palchi già ben definiti.
Nel corso dell'800 conobbe un primo ampliamento, imposto da un furioso incendio, cui seguì una seconda espansione verso l'attuale corso Bettini, che ne consolidò e completò l'aspetto nei contorni che oggi conosciamo. Apprezzato da pubblico e interpreti, ricevette anche l’omaggio degli imperatori Giuseppe II e Gustavo III di Svezia che lo visitarono nel 1783 a cantiere non ancora concluso.
Nato per iniziativa privata e rimasto tale per quasi un secolo, il teatro presentava la curiosa configurazione di un condominio, con i proprietari dei palchi contrapposti ai proprietari della platea e delle murature. Questo rendeva problematica ogni operazione manutentiva finché, per rendere possibili i vari restauri e gli interventi ordinari, il Comune lo acquistò a prezzo di favore nel 1867. Ai palchettisti rimase il diritto di proprietà del loro palco, ma al Comune venne riconosciuto il diritto di intervenire con l'obbligo, per i privati, di non frapporre nessun tipo di ostacolo. Durante la prima Guerra Mondiale il teatro subì ogni sorta di vandalismo; venne usato come stalla, magazzino e caserma. Spogliato delle sue suppellettili, degli arredi e delle attrezzature, dello splendore di un tempo non rimanevano che le cronache. La ristrutturazione che ne seguì fu complessa e delicata ancorché limitata all'indispensabile, ma l'amore che Rovereto nutriva per il suo teatro compì il miracolo di restituirlo al pubblico godimento in poco meno di un anno. Come già anticipato l'opera "Francesca da Rimini" di Riccardo Zandonai ne sancì la rinascita e, proprio in quell'occasione, si decise di intitolare il teatro al grande compositore.
Nell'aprile del 1924 i lavori di restauro vennero finalmente completati e il teatro, rimesso completamente a nuovo, venne inaugurato con l'opera "Giulietta e Romeo", sempre dello Zandonai, alla presenza del principe Umberto di Savoia. Ora, a più di due secoli dalla nascita, il teatro non è più rispondente alle norme in materia di sicurezza, prevenzione incendi e accessibilità ed è stato perciò sottoposto a un intenso progetto di ristrutturazione.
E’doveroso soffermarsi qualche minuto sulla figura di Riccardo Zandonai. Nato a Sacco di Rovereto il 28 maggio 1883 in una famiglia di modesta estrazione sociale nel 1894 si iscrive alla scuola Musicale di Rovereto dove frequenta lezioni di violino, pianoforte e composizione sotto la guida dell’emiliano Vincenzo Gianferrari. Nel 1898 si iscrive al liceo musicale di Pesaro dove, bruciando i tempi, si diploma in composizione in soli tre anni anziché nei nove regolamentari. Proprio in occasione del diploma scrive il poema sinfonico “Il ritorno di Odisseo” partendo da un testo di Giovanni Pascoli con cui intraprese una fitta corrispondenza. Dopo un proficuo e quanto intenso periodo di apprendistato, una borsa di studio al ministero della pubblica istruzione austriaco e diverse collaborazioni musicali, nel 1907 conosce Tito Ricordi. Sarà un incontro decisivo per il musicista non solo per la commissione dell’opera “Il grillo del focolare”, tratto da Charles Dickens e rappresentato a Torino nel 1908, ma anche per la collaborazione musicale che durò tutta la vita. Zandonai vive in questo periodo tra Pesaro, Milano e la natia Sacco. Le opere che gli fruttarono i maggiori successi furono Conchita, di chiara ambientazione spagnola, “La Femme et le pantin” dal romanzo di Pierre Louÿs e “Francesca da Rimini” che, composta su testo di Gabriele D'Annunzio, fu senz'altro il suo lavoro più conosciuto e più rappresentato. A questi titoli va aggiunta anche “La leggenda di Gösta Berling” di Selma Lagerlöf, opera diretta alla Scala di Milano da Arturo Toscanini e destinata a raccogliere grande e duraturo successo nel Nord Europa, grazie all'efficace rappresentazione di atmosfere tipiche della sensibilità nordica.
Nel corso dell'800 conobbe un primo ampliamento, imposto da un furioso incendio, cui seguì una seconda espansione verso l'attuale corso Bettini, che ne consolidò e completò l'aspetto nei contorni che oggi conosciamo. Apprezzato da pubblico e interpreti, ricevette anche l’omaggio degli imperatori Giuseppe II e Gustavo III di Svezia che lo visitarono nel 1783 a cantiere non ancora concluso.
Nato per iniziativa privata e rimasto tale per quasi un secolo, il teatro presentava la curiosa configurazione di un condominio, con i proprietari dei palchi contrapposti ai proprietari della platea e delle murature. Questo rendeva problematica ogni operazione manutentiva finché, per rendere possibili i vari restauri e gli interventi ordinari, il Comune lo acquistò a prezzo di favore nel 1867. Ai palchettisti rimase il diritto di proprietà del loro palco, ma al Comune venne riconosciuto il diritto di intervenire con l'obbligo, per i privati, di non frapporre nessun tipo di ostacolo. Durante la prima Guerra Mondiale il teatro subì ogni sorta di vandalismo; venne usato come stalla, magazzino e caserma. Spogliato delle sue suppellettili, degli arredi e delle attrezzature, dello splendore di un tempo non rimanevano che le cronache. La ristrutturazione che ne seguì fu complessa e delicata ancorché limitata all'indispensabile, ma l'amore che Rovereto nutriva per il suo teatro compì il miracolo di restituirlo al pubblico godimento in poco meno di un anno. Come già anticipato l'opera "Francesca da Rimini" di Riccardo Zandonai ne sancì la rinascita e, proprio in quell'occasione, si decise di intitolare il teatro al grande compositore.
Nell'aprile del 1924 i lavori di restauro vennero finalmente completati e il teatro, rimesso completamente a nuovo, venne inaugurato con l'opera "Giulietta e Romeo", sempre dello Zandonai, alla presenza del principe Umberto di Savoia. Ora, a più di due secoli dalla nascita, il teatro non è più rispondente alle norme in materia di sicurezza, prevenzione incendi e accessibilità ed è stato perciò sottoposto a un intenso progetto di ristrutturazione.
E’doveroso soffermarsi qualche minuto sulla figura di Riccardo Zandonai. Nato a Sacco di Rovereto il 28 maggio 1883 in una famiglia di modesta estrazione sociale nel 1894 si iscrive alla scuola Musicale di Rovereto dove frequenta lezioni di violino, pianoforte e composizione sotto la guida dell’emiliano Vincenzo Gianferrari. Nel 1898 si iscrive al liceo musicale di Pesaro dove, bruciando i tempi, si diploma in composizione in soli tre anni anziché nei nove regolamentari. Proprio in occasione del diploma scrive il poema sinfonico “Il ritorno di Odisseo” partendo da un testo di Giovanni Pascoli con cui intraprese una fitta corrispondenza. Dopo un proficuo e quanto intenso periodo di apprendistato, una borsa di studio al ministero della pubblica istruzione austriaco e diverse collaborazioni musicali, nel 1907 conosce Tito Ricordi. Sarà un incontro decisivo per il musicista non solo per la commissione dell’opera “Il grillo del focolare”, tratto da Charles Dickens e rappresentato a Torino nel 1908, ma anche per la collaborazione musicale che durò tutta la vita. Zandonai vive in questo periodo tra Pesaro, Milano e la natia Sacco. Le opere che gli fruttarono i maggiori successi furono Conchita, di chiara ambientazione spagnola, “La Femme et le pantin” dal romanzo di Pierre Louÿs e “Francesca da Rimini” che, composta su testo di Gabriele D'Annunzio, fu senz'altro il suo lavoro più conosciuto e più rappresentato. A questi titoli va aggiunta anche “La leggenda di Gösta Berling” di Selma Lagerlöf, opera diretta alla Scala di Milano da Arturo Toscanini e destinata a raccogliere grande e duraturo successo nel Nord Europa, grazie all'efficace rappresentazione di atmosfere tipiche della sensibilità nordica.