Palazzo Piomarta o Palazzo dell'Istruzione
“Credo non esista destino più nobile per un edificio nato per manifestare la potenza di una famiglia, che diventare sede di cultura, di formazione, di ricerca”.
La scrittrice roveretana Isabella Bossi Fedrigotti ha sintetizzato con queste parole il valore dell’opera di restauro e di riconsegna alla città di Palazzo Piomarta di corso Bettini.
L’edificio, chiamato anche “Palazzo dell’Istruzione” perché per la cittadinanza roveretana è sede scolastica per antonomasia, dopo tre anni e mezzo di lavori ritrova la sua vocazione formativa.
Il complesso, infatti, è diventato sede della Facoltà di Scienze cognitive, della SSIS (la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario), del corso di laurea in educatore professionale sanitario, nonché del nuovissimo corso di laurea in interfacce e tecnologie della comunicazione.
Un tassello importante per l’Università di Trento e una tappa fondamentale per tutta la Città della Quercia. Con il Palazzo dell’Istruzione viene rilanciato e completato il progetto di corso Bettini come asse culturale.
L’opera di restauro e di recupero funzionale dell’edificio è durata tre anni e mezzo ed è costata più di 18 milioni di euro.
La visita al palazzo è un viaggio nel tempo: dopo aver varcato le porte che dall’androne un tempo portavano all’ingresso del liceo classico a sinistra e dello scientifico a destra, si può ammirare il grande atrio con la scalinata sullo sfondo, il cortile interno con i ballatoi diventati poi corridoi e ricoperto ora con lastre di cristallo sotto le quali si trovano nuovi spazi didattici. L’aula magna, interamente decorata, è un colpo d’occhio con il suo enorme lampadario e sarà fruibile in totale autonomia dalla cittadinanza, ad esempio per concerti e altre manifestazioni culturali
Il palazzo nasce come Palazzo dei Baroni Piomarta. I Piomarta divennero baroni con Maria Teresa imperatrice d’Austria il 3 luglio del 1766. Originari della Lombardia, si stabilirono a Rovereto nel 1650. Il giovane barone Antonio Gaetano, figlio di Bartolameo iniziò la costruzione del grande edificio nell’anno 1772. Morto nel 1773, a soli 29 anni, i lavori continuarono per volere della madre, che portò a compimento parte del palazzo. A ultimarlo fu il conte Alberti-Poia che aveva sposato Eleonora Piomarta, sorella di Gaetano. Come potete vedere lo stemma baronale della famiglia è murato sopra il portone d’ingresso dell’edificio. Il palazzo tuttavia non venne mai abitato dai suoi proprietari. Nel 1786 vi trovò collocazione la scuola elementare maschile. Successivamente fu il turno del ginnasio e pochi anni dopo della scuola reale elisabettina: un istituto tecnico commerciale per geometri. Palazzo Piomarta ospitò anche il museo e la biblioteca civica. Nel 1850 fu acquistato dalla città per destinarlo definitivamente a sede scolastica. Il palazzo è un severo edificio neoclassico la cui facciata a detta di Adamo Chiusole, poeta arcadico, pittore, nonchè storico “non ha eguali nel Trentino”. Il Barone Gaetano Piomarta nella costruzione del proprio palazzo coinvolse le figure locali più in vista dell’epoca: Bernardo Tacchi, Ambrogio Rosmini, lo scultore Francesco Giongo e anche Francesco Maria Schiavi architetto veronese.
La scrittrice roveretana Isabella Bossi Fedrigotti ha sintetizzato con queste parole il valore dell’opera di restauro e di riconsegna alla città di Palazzo Piomarta di corso Bettini.
L’edificio, chiamato anche “Palazzo dell’Istruzione” perché per la cittadinanza roveretana è sede scolastica per antonomasia, dopo tre anni e mezzo di lavori ritrova la sua vocazione formativa.
Il complesso, infatti, è diventato sede della Facoltà di Scienze cognitive, della SSIS (la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario), del corso di laurea in educatore professionale sanitario, nonché del nuovissimo corso di laurea in interfacce e tecnologie della comunicazione.
Un tassello importante per l’Università di Trento e una tappa fondamentale per tutta la Città della Quercia. Con il Palazzo dell’Istruzione viene rilanciato e completato il progetto di corso Bettini come asse culturale.
L’opera di restauro e di recupero funzionale dell’edificio è durata tre anni e mezzo ed è costata più di 18 milioni di euro.
La visita al palazzo è un viaggio nel tempo: dopo aver varcato le porte che dall’androne un tempo portavano all’ingresso del liceo classico a sinistra e dello scientifico a destra, si può ammirare il grande atrio con la scalinata sullo sfondo, il cortile interno con i ballatoi diventati poi corridoi e ricoperto ora con lastre di cristallo sotto le quali si trovano nuovi spazi didattici. L’aula magna, interamente decorata, è un colpo d’occhio con il suo enorme lampadario e sarà fruibile in totale autonomia dalla cittadinanza, ad esempio per concerti e altre manifestazioni culturali
Il palazzo nasce come Palazzo dei Baroni Piomarta. I Piomarta divennero baroni con Maria Teresa imperatrice d’Austria il 3 luglio del 1766. Originari della Lombardia, si stabilirono a Rovereto nel 1650. Il giovane barone Antonio Gaetano, figlio di Bartolameo iniziò la costruzione del grande edificio nell’anno 1772. Morto nel 1773, a soli 29 anni, i lavori continuarono per volere della madre, che portò a compimento parte del palazzo. A ultimarlo fu il conte Alberti-Poia che aveva sposato Eleonora Piomarta, sorella di Gaetano. Come potete vedere lo stemma baronale della famiglia è murato sopra il portone d’ingresso dell’edificio. Il palazzo tuttavia non venne mai abitato dai suoi proprietari. Nel 1786 vi trovò collocazione la scuola elementare maschile. Successivamente fu il turno del ginnasio e pochi anni dopo della scuola reale elisabettina: un istituto tecnico commerciale per geometri. Palazzo Piomarta ospitò anche il museo e la biblioteca civica. Nel 1850 fu acquistato dalla città per destinarlo definitivamente a sede scolastica. Il palazzo è un severo edificio neoclassico la cui facciata a detta di Adamo Chiusole, poeta arcadico, pittore, nonchè storico “non ha eguali nel Trentino”. Il Barone Gaetano Piomarta nella costruzione del proprio palazzo coinvolse le figure locali più in vista dell’epoca: Bernardo Tacchi, Ambrogio Rosmini, lo scultore Francesco Giongo e anche Francesco Maria Schiavi architetto veronese.