Una mattina soleggiata ma livida, con la temperatura che occhieggia limiti ormai invernali, ci accoglie sulle rive del lago di Caldonazzo. Dopo il caffè di rito ci inoltriamo nel paese fino all'antica chiesa di S.Ermete che veglia il paese ormai da secoli. Saliamo incrociando la via dei poeti in prossimità della chiesa parrocchiale della Madonna dell'Assunta e, continuando a salire, arriviamo alla Provinciale, poco sotto l'abitato di Migazzone, che raggiungiamo dopo un breve scendi e sali. Due amici ivi residenti ci offrono il caffè e ci accompagnano nella traversata di Migazzone, Bosentino e al Santuario della Madonna del Feles, nostro primo punto d'arrivo. Poco sopra questo spicca la mole del castello di Vigolo, ora abitazione privata. Da qui comincia la discesa verso Vigolo Vattaro prima per ritornare a Bosentino poi, ove ci fermiamo per il pranzo al sacco e salutiamo gli amici che tornano a casa. Attraversiamo lo stradone e, dopo qualche decina di metri lungo questa, prendiamo una stradina laterale che ci porta, in circa 15/20 minuti, al Maso Zoventel immerso nell'ombra e nel gelo. Aggirando il maso ci inerpichiamo sul sentierino a fianco nel bosco, tralasciando quello che sale a destra verso Vattaro. Percorriamo il sentiero, piegando a sinistra in leggera discesa ad un bivio ed arriviamo in un grande prato dove ritroviamo il sentiero che piano piano si trasforma in carrareccia salendo fin o a trovare i cartelli che indicano il percorso dei minatori. Ci tuffiamo di nuovo nel bosco in discesa sul sentierino che attraversa poco dopo il Rio Mandola. Lo percorriamo nonostante vi siano dei cartelli che ne indicano la chiusura. Convinto che questa sia causata, come spesso succede, da qualche piccolo smottamento che non pregiudica la percorrenza ci inabissiamo nella forra trovando poco dopo il primo ostacolo: un ponte parzialmente divelto. Approfittando dell'acqua molto bassa passiamo a guado e risaliamo dall'altra parte. Poco più avanti troviamo il vero motivo della chiusura: un tratto dove il sentiero è sparito spostandosi pochi metri sotto. Per fortuna la rete nella parte superiore ed alcune siepi hanno tenuto ed hanno creato e reso possibile il passaggio, seppur con qualche accorgimento. Arriviamo sulla parte restante del sentiero incolumi e proseguiamo, con due amici che si sono accodati a noi con i loro cani, verso la parte finale del percorso, all'ingresso, chiuso anche dato il particolare momento, della Miniera di Calceranica. Il ritorno al parcheggio è anticipato dal bicchiere della staffa al Bar Centrale. In tutto 11,5 km. percorsi, 350 m. di dislivello in circa 4 ore di camminata. Il tutto in assoluta tranquillità, a parte le difficoltà finali che hanno dato pepe alla giornata.
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Calceranica
Calceranica è paese delle origini storiche antichissime. Fu "castelliere" quando l'uomo assunse la condizione stanziale e piccolo villaggio in epoca romana. Le origini romane sono confermate da reperti archeologici, quali un'ara dedicata alla dea Diana, una necropoli e monete ritrovate nella valle del Dorigo nel 1894 durante gli scavi per la costruzione della ferrovia della Valsugana nonché una roncola (falx vinitoria) recentemente rinvenuta in un terreno privato. Fin dai primordi, espressioni cultuali si manifestarono a Calceranica sotto un duplice aspetto: quello pagano documentato dall'ara votiva dedicata a Diana e quello cristiano, ovviamente più tardo, documentato non tanto dalla chiesetta di S. Ermete, quanto dalla presenza invero assai più significativa della pieve rurale, propostaci dalla chiesa plebana di S. Maria Assunta, l'unica ad essere fornita in origine di fonte battesimale e matrice, per questo, delle cappelle filiali del circondario.
Tale Chiesa mantenne il suo prestigio di Pieve anche dopo la costituzione del Principato vescovile di Trento, quando si impose sul nostro territorio il potere feudale della famiglia dei Caldonazzo - Castronuovo. Più tardi, dopo il 1461, sotto la dinastia dei Trapp, la chiesa della Pieve venne ricostruita mentre le cappelle del circondario acquistavano autonomia e gradualmente vennero trasformate in curazie. Amministrativamente gli abitanti di Calceranica e dei paesi viciniori si posero fin dal 1200 - 1300 "la Regola" o "Assemblea del popolo" le cui deliberazioni venivano trasmesse per tradizione fino al 1585 anno in cui la Regola sancita dal governo del Vescovo Ludovico Madruzzo divenne lo Statuto Regolamentare di Caldonazzo, Caorso, Calceranica, Brenta e del Monte. Dopo le guerre napoleoniche, con la soppressione del Principato di Trento, Calceranica con tutta la Regione fu annessa al Tirolo austriaco.
Durante tale periodo vennero realizzati importanti lavori pubblici quali l'arginatura del Mandola, il prosciugamento delle paludi, nuove strade ed ebbero notevole incremento l'agricoltura, la bachicoltura e l'industria serica. Nell'anno 1864 la tanto attesa Costituzione del Comune di Calceranica decretò finalmente il distacco da Caldonazzo ed aprì un nuovo corso alla storia del paese. Nel 1916 durante la Prima guerra mondiale il paese fu evacuato e la popolazione fu trasferita in Moravia. La vittoria del 1918 sanzionò l'annessione del Trentino al Regno d'Italia. Durante l'era fascista, nel 1927 in forza di un decreto governativo Calceranica venne aggregata nuovamente al Comune di Caldonazzo e fu così annullata quell'autonomia che sessantatré anni prima il governo di Vienna aveva concesso.
Durante la Seconda guerra mondiale il paese subì parecchie incursioni aeree che provocarono cinque vittime e numerosi danni materiali. Nel 1947 Calceranica fu riconosciuta ancora comune autonomo, nel 1957 prese il nome di Calceranica al Lago, ed ebbe inizio un periodo di profonda trasformazione. Da centro rurale ad agricoltura mista divenne importante polo industriale e turistico. Il Paese, infatti, che aveva dimostrato fin dal 1200, una vocazione mineraria per la tipologia del sottosuolo, ebbe grazie alla Montecatini un forte sviluppo industriale con una consistente immigrazione di minatori da varie località italiane (Marche, Toscana, Belluno), le cui famiglie si sono poi ben inserite ed integrate nel nuovo tessuto sociale originario, arricchendosi vicendevolmente delle rispettive culture. Chiusa la miniera nel 1965, oggi Calceranica può vantare una grossa realtà industriale, la COSTER S.P.A., insediatasi qui nel novembre 1965, gode inoltre di una sviluppata realtà turistica per la sua felice posizione in riva al lago.
Tale Chiesa mantenne il suo prestigio di Pieve anche dopo la costituzione del Principato vescovile di Trento, quando si impose sul nostro territorio il potere feudale della famiglia dei Caldonazzo - Castronuovo. Più tardi, dopo il 1461, sotto la dinastia dei Trapp, la chiesa della Pieve venne ricostruita mentre le cappelle del circondario acquistavano autonomia e gradualmente vennero trasformate in curazie. Amministrativamente gli abitanti di Calceranica e dei paesi viciniori si posero fin dal 1200 - 1300 "la Regola" o "Assemblea del popolo" le cui deliberazioni venivano trasmesse per tradizione fino al 1585 anno in cui la Regola sancita dal governo del Vescovo Ludovico Madruzzo divenne lo Statuto Regolamentare di Caldonazzo, Caorso, Calceranica, Brenta e del Monte. Dopo le guerre napoleoniche, con la soppressione del Principato di Trento, Calceranica con tutta la Regione fu annessa al Tirolo austriaco.
Durante tale periodo vennero realizzati importanti lavori pubblici quali l'arginatura del Mandola, il prosciugamento delle paludi, nuove strade ed ebbero notevole incremento l'agricoltura, la bachicoltura e l'industria serica. Nell'anno 1864 la tanto attesa Costituzione del Comune di Calceranica decretò finalmente il distacco da Caldonazzo ed aprì un nuovo corso alla storia del paese. Nel 1916 durante la Prima guerra mondiale il paese fu evacuato e la popolazione fu trasferita in Moravia. La vittoria del 1918 sanzionò l'annessione del Trentino al Regno d'Italia. Durante l'era fascista, nel 1927 in forza di un decreto governativo Calceranica venne aggregata nuovamente al Comune di Caldonazzo e fu così annullata quell'autonomia che sessantatré anni prima il governo di Vienna aveva concesso.
Durante la Seconda guerra mondiale il paese subì parecchie incursioni aeree che provocarono cinque vittime e numerosi danni materiali. Nel 1947 Calceranica fu riconosciuta ancora comune autonomo, nel 1957 prese il nome di Calceranica al Lago, ed ebbe inizio un periodo di profonda trasformazione. Da centro rurale ad agricoltura mista divenne importante polo industriale e turistico. Il Paese, infatti, che aveva dimostrato fin dal 1200, una vocazione mineraria per la tipologia del sottosuolo, ebbe grazie alla Montecatini un forte sviluppo industriale con una consistente immigrazione di minatori da varie località italiane (Marche, Toscana, Belluno), le cui famiglie si sono poi ben inserite ed integrate nel nuovo tessuto sociale originario, arricchendosi vicendevolmente delle rispettive culture. Chiusa la miniera nel 1965, oggi Calceranica può vantare una grossa realtà industriale, la COSTER S.P.A., insediatasi qui nel novembre 1965, gode inoltre di una sviluppata realtà turistica per la sua felice posizione in riva al lago.
Bosentino
Il paese di Bosentino, situato ad un altitudine di 688 m.s.l., è posto al margine orientale dell’Altipiano della Vigolana, sulle pendici del Monte di Bosentino o Boschét (mt. 1008.s.l.m.), estrema propaggine sud - orientale della Marzola (mt. 1738) con pregevole affaccio sul sottostante Lago di Caldonazzo (mt. 450 s.l.m.)
Costituito da due centri abitati, Bosentino e Migazzone, presenta radici che si perdono in epoca preromana. Anche i nomi dei nuclei risalgono a tale epoca con derivazione etrusca: Bosentino da “buccina” (strumento a fiato) oppure da “buxus” (bosso, arbusto), Migazzone da “mugo”.
Sin dall’ottavo secolo a.c. vi fu infatti un’infiltrazione di popolazioni etrusche , poi vennero i galli cenomani e successivamente la conquista romana. Notizie storiche fanno cenno all’esistenza di un antico castelliere. In epoca romana, la zona era interessato da un ramo della Via Claudia Augusta Altinate; a cavallo fra l’asta dell’Adige e la Valsugana. Il paese fu coinvolto nei vari eventi e lotte che si susseguirono fino alla distruzione del castello ad opera di Ezzelino da Romano; castello che non venne più ricostruito.
Dell’invasione barbarica del quinto secolo d.C. è rimasto un considerevole numero di tombe barbariche (conservate presso i musei trentini) ed i resti dell’equipaggiamento di un guerriero longobardo.
Nel 1020 Bosentino e Migazzone passarono con Trento sotto la competenza del Principe Vescovo.
E’ certo che i due nuclei abitati ebbero molto presto delle norme costituenti l’embrione di una vita civica istituzionalizzata: la “regola”. Tracce di queste norme consuetudinarie si hanno in un primo documento del 1260. Le stesse furono poi successivamente determinate, come risulta da un documento del 1560 “La Carta delle Regole”, su una più vasta estensione territoriale.
Nei primi anni del 1600, sulle pendici del Boschét, in una posizione prospettante sulla conca della Vigolana, secondo la tradizione, ad un pastorello apparve la Vergine Maria. In quel luogo denominato “Feles”, venne eretto un primo tabernacolo e quindi successivamente nel 1729 una chiesetta denominata della Madonna del Feles. Più volte ampliata e ristrutturata, presenta oggi la prova dell’apparizione, una lasta di pietra con l’ombra della mano della Vergine.
Nel 1805 Bosentino andò a costituire, assieme a Vigolo Vattaro e Vattaro, un unico comune denominato Vigolo Vattaro a chiusura della gloriosa epoca comunale durante la quale i piccoli centri erano paragonabili a piccole repubbliche. Anche durante il periodo fascista Bosentino venne aggregato al Comune di Vigolo Vattaro divenendone una frazione. Riacquistò il rango di Comune nel 1946.
Interessante, oltre al Santuario del Feles, anche la Chiesa Parrocchiale intitolata a San Giuseppe lavoratore, eretta inizialmente verso la fine 1700 (1674), poi distrutta e quindi ricostruita.
La fisionomia dell’ambiente del villaggio, mostra tratti evidenti della tradizionale funzione agricola, nonostante il tramonto verso cui essa è avviata. Così permangono sistemazioni a gradoni dei pendìì ove un tempo si coltivava ed ora domina il bosco. L’attività agricola ha permeato anche le soluzioni abitative dei due centri storici, con case rurali, talora in pietra non intonacata, adorne da più ordini di ballatoi in legno, rastrelliere, cortili, portali in pietra e qualche bell’edificio rustico-signorile.
Attualmente la popolazione residente conta 838 abitanti alla fine dell’anno 2014 ed è in costante e progressivo incremento a fondamento dell’attrattiva del luogo e della sua peculiarità.
Costituito da due centri abitati, Bosentino e Migazzone, presenta radici che si perdono in epoca preromana. Anche i nomi dei nuclei risalgono a tale epoca con derivazione etrusca: Bosentino da “buccina” (strumento a fiato) oppure da “buxus” (bosso, arbusto), Migazzone da “mugo”.
Sin dall’ottavo secolo a.c. vi fu infatti un’infiltrazione di popolazioni etrusche , poi vennero i galli cenomani e successivamente la conquista romana. Notizie storiche fanno cenno all’esistenza di un antico castelliere. In epoca romana, la zona era interessato da un ramo della Via Claudia Augusta Altinate; a cavallo fra l’asta dell’Adige e la Valsugana. Il paese fu coinvolto nei vari eventi e lotte che si susseguirono fino alla distruzione del castello ad opera di Ezzelino da Romano; castello che non venne più ricostruito.
Dell’invasione barbarica del quinto secolo d.C. è rimasto un considerevole numero di tombe barbariche (conservate presso i musei trentini) ed i resti dell’equipaggiamento di un guerriero longobardo.
Nel 1020 Bosentino e Migazzone passarono con Trento sotto la competenza del Principe Vescovo.
E’ certo che i due nuclei abitati ebbero molto presto delle norme costituenti l’embrione di una vita civica istituzionalizzata: la “regola”. Tracce di queste norme consuetudinarie si hanno in un primo documento del 1260. Le stesse furono poi successivamente determinate, come risulta da un documento del 1560 “La Carta delle Regole”, su una più vasta estensione territoriale.
Nei primi anni del 1600, sulle pendici del Boschét, in una posizione prospettante sulla conca della Vigolana, secondo la tradizione, ad un pastorello apparve la Vergine Maria. In quel luogo denominato “Feles”, venne eretto un primo tabernacolo e quindi successivamente nel 1729 una chiesetta denominata della Madonna del Feles. Più volte ampliata e ristrutturata, presenta oggi la prova dell’apparizione, una lasta di pietra con l’ombra della mano della Vergine.
Nel 1805 Bosentino andò a costituire, assieme a Vigolo Vattaro e Vattaro, un unico comune denominato Vigolo Vattaro a chiusura della gloriosa epoca comunale durante la quale i piccoli centri erano paragonabili a piccole repubbliche. Anche durante il periodo fascista Bosentino venne aggregato al Comune di Vigolo Vattaro divenendone una frazione. Riacquistò il rango di Comune nel 1946.
Interessante, oltre al Santuario del Feles, anche la Chiesa Parrocchiale intitolata a San Giuseppe lavoratore, eretta inizialmente verso la fine 1700 (1674), poi distrutta e quindi ricostruita.
La fisionomia dell’ambiente del villaggio, mostra tratti evidenti della tradizionale funzione agricola, nonostante il tramonto verso cui essa è avviata. Così permangono sistemazioni a gradoni dei pendìì ove un tempo si coltivava ed ora domina il bosco. L’attività agricola ha permeato anche le soluzioni abitative dei due centri storici, con case rurali, talora in pietra non intonacata, adorne da più ordini di ballatoi in legno, rastrelliere, cortili, portali in pietra e qualche bell’edificio rustico-signorile.
Attualmente la popolazione residente conta 838 abitanti alla fine dell’anno 2014 ed è in costante e progressivo incremento a fondamento dell’attrattiva del luogo e della sua peculiarità.
Santuario della Madonna del Feles
A poca distanza dal paese di Bosentino sorge la chiesetta della Madonna del Feles. La località prende il nome dalle piante di felci che crescono nella zona. Lì si trovava un antico capitello dedicato alla Madonna, con un affresco veneziano del 1400.
La leggenda narra che un tempo molti pastori salivano con i loro animali in quei pascoli. Ad uno di questi, un ragazzo muto di 12 anni, Janesel, apparve la Vergine che con una mano indicava una felce cresciuta sotto un grosso castagno. La Vergine invitava il ragazzo a dire agli abitanti di Bosentino di erigere in quel luogo una cappella e di collocarvi un’immagine della Madonna per la venerazione. Mentre parlava pose la mano su una pietra e vi lasciò l’impronta, come segno per gli abitanti guarì il muto. I Bosentini credettero.
Nel 1622 la comunità di Bosentino fece voto di suonare ogni sabato a un’ora precisa l’Ave Maria ed ognuno doveva cessare il lavoro e recarsi in processione alla cappella. Quest’usanza fu osservata fino alla fine dell’Ottocento.
Della cappella si parlò soltanto dopo la peste del 1632/33, che avendo mietuto parecchie vittime in tutti i paesi limitrofi, avrebbe risparmiato Bosentino e Migazzone. Fu così che attorno al primitivo capitello sorse una vera cappella con porta e finestra rivolte verso Vigolo.
La leggenda narra che un tempo molti pastori salivano con i loro animali in quei pascoli. Ad uno di questi, un ragazzo muto di 12 anni, Janesel, apparve la Vergine che con una mano indicava una felce cresciuta sotto un grosso castagno. La Vergine invitava il ragazzo a dire agli abitanti di Bosentino di erigere in quel luogo una cappella e di collocarvi un’immagine della Madonna per la venerazione. Mentre parlava pose la mano su una pietra e vi lasciò l’impronta, come segno per gli abitanti guarì il muto. I Bosentini credettero.
Nel 1622 la comunità di Bosentino fece voto di suonare ogni sabato a un’ora precisa l’Ave Maria ed ognuno doveva cessare il lavoro e recarsi in processione alla cappella. Quest’usanza fu osservata fino alla fine dell’Ottocento.
Della cappella si parlò soltanto dopo la peste del 1632/33, che avendo mietuto parecchie vittime in tutti i paesi limitrofi, avrebbe risparmiato Bosentino e Migazzone. Fu così che attorno al primitivo capitello sorse una vera cappella con porta e finestra rivolte verso Vigolo.
Il Castello
La più antica menzione di Castel Vigolo pare risalga al 1122, anno in cui “la comunità di Vicenza overo li consoli per suo nome investirono Isachino di Castello Vigolo”.Il Castello domina l’altopiano di Vigolo, Vattaro e Bosentino dall’alto di un rilievo prativo appoggiato alle pendici meridionali del massiccio della Marzola.Ha perso le caratteristiche fortificatorie medievali, tuttavia il gran fabbricato sommitale (palazzo baronale), i corpi di fabbrica attigui, i resti delle cinte murarie e la torricella che presidia la vecchia strada di Bosentino possono suggerire l’originaria topografia del castello. Il Castello medievale era arroccato sullo spiazzo dove oggi c’è il palazzo che è il frutto dell’evoluzione urbanistica cinquecentesca.Il mastio, a pianta quadrangolare, di circa 10 metri per lato, era fondato sulla sommità del rilievo ed era circondato da una cinta muraria, parte della quale, verso valle, scorta tutt’ora la strada.Secondo Gian Maria Tabarelli le torri inserite nelle cortine erano quattro: due ai lati del settore a monte e due a valle. La torretta sud, detta Toresela, starebbe a ricordare lo schema fortificatorio esterno delle cortine. Essa è a pianta quadrangolare e conserva l’originaria copertura di coppi. Tra la torretta e il muricciolo si apre il varco di una scalinata che porta al cancello della corte antistante il prospetto meridionale del palazzo. L’ingresso principale è situato nella facciata nord. I materiali dominanti del castello sono pietra metamorfica, porfido e calcare rosso e bianco delle cave di Trento
Vigolo Vattaro e di nuovo Bosentino
Vigolo Vattaro pare avere origine da un primo, piccolo insediamento umano già nella preistoria, circa 3.500 anni fa. Di questo periodo non ci rimangono che poche e frammentarie evidenze archeologiche, provenienti dalla località Dossi. Sicuramente il sito di Vigolo Vattaro fu interessato dalla colonizzazione romana gravitando politicamente sul “Municipium” di Trento. Proprio ai romani sembra debba il nome “Viculus”, ossia piccolo villaggio.
Le invasioni barbariche che segnano il passaggio fra l’epoca antica e quella altomedievale non lasciarono intaccato il nostro paese. Al museo del Castello del Buonconsiglio a Trento si può ammirare quanto resta di un corredo tombale longobardo. Il più antico documento scritto di cui disponiamo è la “Carta di Castel Vigolo”, risalente al 1214. In essa si sancisce un impegno fra gli uomini di Vigolo e il Vescovo Vanga per la tenuta del castello stesso.
Con gli “uomini di Vigolo” ci troviamo quindi in presenza di una comunità ben definita, con propri rappresentanti,. Comunità che, in quanto tale, ha sempre avvertito la necessità di dotarsi di una serie di norme che garantissero la popolazione stessa, mettendola al riparo da soprusi e pericoli in genere. Per annoi ciò fu ottenuto tramandando oralmente una serie di regole. Più tardi sorse la necessità di codificare questi statuti orali e, già nel 1496, Vigolo approvava la sua “Carta di Regola”, oggi conservata nell’Archivio di Stato. Nella sua introduzione, le motivazioni che spinsero la comunità a dotarsi di un tale strumento giuridico vengono così definite: “…gli uomini di Vigolo …volendo differenziarsi dagli animali privi di un fine preciso, riconfermano le loro Regole e le antiche consuetudini buone e approvate a fino adesso osservate…e le fanno stendere per iscritto, ad eterna memoria, perché non possano sorgere discordie, tra le predette popolazioni”. Siamo all’inizio di un secolo, il 1500, foriero di novità culturali e politiche e che lascerà traccia anche a Vigolo che ne subirà gli influssi. La Carta di Regola sarà poi integrata nel corso del secolo XVIII, una prima volta nel 1719 e successivamente nel 1751.
Negli anni seguenti Vigolo condividerà la propria sorte con buona parte del Trentino subendo le invasioni napoleoniche che tanto costarono alla nostra comunità sia in disagi che in ristrettezze economiche.Dopo il congresso di Vienna il paese riprenderà la propria vita normale e la sua economia sarà migliorata dall’introduzione dell’allevamento del baco da seta. Anche le guerre del Risorgimento interessano la zona di Vigolo Vattaro che fu teatro nel 1866 di uno scontro fra le truppe italiane della colonna Negri e i drappelli austriaci del Capitano Cramolini attestai tra Valsorda e la località Praloncine. Il combattimento causò la morte di 17 italiani. Ben più disastrose furono le conseguenze della crisi economica che costrinsero, nella seconda metà dell’ottocento, tante delle nostre famiglie ad emigrare. Nel corso di quegli anni quasi un terzo della popolazione lasciò la propria terra, condividendo l’amara sorte di tanti trentini. Si possono ancora leggere negli atti della cancelleria comunale del 1875 “…per deliberare sui ricorsi presentati da alcuni individui che divisarono di emigrare nell’America per l’importo da corrispondersi al Comune, vennero formate tre classi…e venne deliberato di corrispondere a quelli della prima classe: adulti f. 4 per persona e sotto gli anni 11 f. 2 e sotto ai due anni nulla …”. A questi avvenimenti è legata la storia e il culto di Santa Paolina, al secolo Amabile Visintainer, nata a Vigolo Vattaro il 16 dicembre 1965, emigrata con la sua famiglia nello Stato di Santa Caterina in Brasile. Era l’anno 1865. Suo padre ed altri sei capifamiglia fondarono Vigolo nell’attuale comune di Nova Trento. Fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore della Immacolata Concezione (agosto 1895) rappresenta la testimonianza eroica dello spirito di solidarietà e di attenzione ai più deboli, fondamentale valore civile e religioso della nostra comunità. Morì a San Paolo il 9 luglio 1942. Il 16 ottobre 1991 è stata dichiarata Beata a Florianopolis. Il 19 maggio 2002 è stata dichiarata Santa da papa Giovanni Paolo II° a Roma. Le due guerre mondiali, infine, costarono anche a Vigolo il loro tributo di morti e dispersi. Dal dopoguerra ai nostri giorni le vicende del paese seguono a grandi linee quelle della nostra regione.
Le invasioni barbariche che segnano il passaggio fra l’epoca antica e quella altomedievale non lasciarono intaccato il nostro paese. Al museo del Castello del Buonconsiglio a Trento si può ammirare quanto resta di un corredo tombale longobardo. Il più antico documento scritto di cui disponiamo è la “Carta di Castel Vigolo”, risalente al 1214. In essa si sancisce un impegno fra gli uomini di Vigolo e il Vescovo Vanga per la tenuta del castello stesso.
Con gli “uomini di Vigolo” ci troviamo quindi in presenza di una comunità ben definita, con propri rappresentanti,. Comunità che, in quanto tale, ha sempre avvertito la necessità di dotarsi di una serie di norme che garantissero la popolazione stessa, mettendola al riparo da soprusi e pericoli in genere. Per annoi ciò fu ottenuto tramandando oralmente una serie di regole. Più tardi sorse la necessità di codificare questi statuti orali e, già nel 1496, Vigolo approvava la sua “Carta di Regola”, oggi conservata nell’Archivio di Stato. Nella sua introduzione, le motivazioni che spinsero la comunità a dotarsi di un tale strumento giuridico vengono così definite: “…gli uomini di Vigolo …volendo differenziarsi dagli animali privi di un fine preciso, riconfermano le loro Regole e le antiche consuetudini buone e approvate a fino adesso osservate…e le fanno stendere per iscritto, ad eterna memoria, perché non possano sorgere discordie, tra le predette popolazioni”. Siamo all’inizio di un secolo, il 1500, foriero di novità culturali e politiche e che lascerà traccia anche a Vigolo che ne subirà gli influssi. La Carta di Regola sarà poi integrata nel corso del secolo XVIII, una prima volta nel 1719 e successivamente nel 1751.
Negli anni seguenti Vigolo condividerà la propria sorte con buona parte del Trentino subendo le invasioni napoleoniche che tanto costarono alla nostra comunità sia in disagi che in ristrettezze economiche.Dopo il congresso di Vienna il paese riprenderà la propria vita normale e la sua economia sarà migliorata dall’introduzione dell’allevamento del baco da seta. Anche le guerre del Risorgimento interessano la zona di Vigolo Vattaro che fu teatro nel 1866 di uno scontro fra le truppe italiane della colonna Negri e i drappelli austriaci del Capitano Cramolini attestai tra Valsorda e la località Praloncine. Il combattimento causò la morte di 17 italiani. Ben più disastrose furono le conseguenze della crisi economica che costrinsero, nella seconda metà dell’ottocento, tante delle nostre famiglie ad emigrare. Nel corso di quegli anni quasi un terzo della popolazione lasciò la propria terra, condividendo l’amara sorte di tanti trentini. Si possono ancora leggere negli atti della cancelleria comunale del 1875 “…per deliberare sui ricorsi presentati da alcuni individui che divisarono di emigrare nell’America per l’importo da corrispondersi al Comune, vennero formate tre classi…e venne deliberato di corrispondere a quelli della prima classe: adulti f. 4 per persona e sotto gli anni 11 f. 2 e sotto ai due anni nulla …”. A questi avvenimenti è legata la storia e il culto di Santa Paolina, al secolo Amabile Visintainer, nata a Vigolo Vattaro il 16 dicembre 1965, emigrata con la sua famiglia nello Stato di Santa Caterina in Brasile. Era l’anno 1865. Suo padre ed altri sei capifamiglia fondarono Vigolo nell’attuale comune di Nova Trento. Fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore della Immacolata Concezione (agosto 1895) rappresenta la testimonianza eroica dello spirito di solidarietà e di attenzione ai più deboli, fondamentale valore civile e religioso della nostra comunità. Morì a San Paolo il 9 luglio 1942. Il 16 ottobre 1991 è stata dichiarata Beata a Florianopolis. Il 19 maggio 2002 è stata dichiarata Santa da papa Giovanni Paolo II° a Roma. Le due guerre mondiali, infine, costarono anche a Vigolo il loro tributo di morti e dispersi. Dal dopoguerra ai nostri giorni le vicende del paese seguono a grandi linee quelle della nostra regione.