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Un titolo altisonante per una escursione comunque da non sottovalutare (950 m. di dislivello in 18 km. 7 ore calme la percorrenza). Partiamo da Nomesino (comune di Mori, a differenza di ciò che pensavo). e ci sbagliamo ad imboccare la strada che porta fuori dal paese, in salita su asfalto per il primo Monte della giornata, il Monte Faè. Qui arrivati ammiriamo il gustoso panorama sulla Vallagarina ed il caposaldo con tanto di panorama assistito. Tornando leggermente sui nostri passi prendiamo a salire per superare, sulle pendici del Dosso di S.Bernardo , il marcato dislivello che ci separa dalla cima del Monte Biaena . Saliamo tra un bel percorso su sentiero in mezzo al bosco fino alla strada che ci porta all'imbocco del sentiero SAT 673. La salita degli ultimi trecento metri che ci porteranno alla cima del Biaena è assai erta ma la percorriamo in soli 45 minuti, contro l'ora dettata dalla tempistica SAT. Vista la salita decidiamo di bypassare la discesa dalla stessa via di salita per scendere un po' più in là, dove troviamo altresì un breve tratto ferrato che , se fatto con cautela, può essere agevolmente superato. Il sentiero termina proprio in prossimità del Rifugio Somator, che scopriamo chiuso, probabilmente a causa delle restrizioni per la pandemia ancora in corso. Torniamo verso il punto di intersezione col sentiero 673 e lo incrociamo percorrendo però un sentiero ancora per me sconosciuto dove raggiungiamo dapprima Corniano, i ruderi di Castel Frassem e la chiesetta di S.Bernardo dove decidiamo di bypassare la salita al Dosso, completamente alberata e quindi inutile per ciò che riguarda il panorama. Arrivati al capitello di S.Rocco la discesa verso il parcheggio auto è assai agevole. Una dissetante birra al Circolo di Castel Frassem e l'incontro con una vecchia amica che non vedevo da trent'anni è la più bella conclusione per questa escursione, imbastita alla benemeglio all'ultimo.
Nomesino è posto nella porzione più orientale della Val di Gresta. Si sviluppò verosimilmente su una villa o proprietà d’epoca romana; discosta su di un vicino dosso sorse nel 1220 la chiesa di San Martino, attorno alla quale si prolungò l’abitato, assumendo il idsegno di un triangolo isoscele. Dopo le distruzioni della Grande Guerra venne aperta l’attuale piazza. La principale località dal punto di vista archeologico e poi storico è il vasto dosso su cui sorgeva l’antichissimo castello di Nomesino, ma reperti si sono trovati anche in altri luoghi, fino a Zèle.
Nomesino aveva anche un castello, distrutto da Venezia nel 1439.
Lungo la strada che da Nomesimo porta a Corniano si incontra la chiesetta di S. Agata. Sorge isolata, su di un rilievo al centro di un digradante altipiano segnato dalla sequenza dei campi terrazzati. La piccola chiesa è costruita interamente in pietra a vista.
È affiancata dal campanile, massiccio, con tetto piramidale, sormontato da una piccola croce in ferro. La torre campanaria è aperta da quattro regolari finestroni romanici. L'assetto della chiesa è, infatti, romanico e tale appare ancora nonostante i rimaneggiamenti che si sono susseguiti nel tempo. I resti della primitiva chiesetta romanica sono venuti alla luce durante i lavori di restauro avvenuti negli anni 1972-73. Particolarità della chiesa di S. Agata sono le due finestre a croce, una sopra il portale e una sopra l'abside, che evidenziano un erudito studio astronomico dei costruttori dell'edificio. Infatti quando il 5 febbraio, festa di S. Agata, il sole spunta da dietro il Coni Zugna, i raggi penetrano attraverso la finestra a croce e attraversano la navata per fuoriuscire perfettamente dalla finestra a croce sopra il portale. Internamente la chiesa conservava una preziosa acquasantiera incisa con figure geometriche, fitoformi e zooformi di gusto preromanico, oggi conservata presso il Museo Diocesano di Trento.
(Testi tratti e liberamente adattati da I nomi locali dei Comuni di Mori e Ronzo Chienis, Servizio beni librari e archivistici della Provincia Autonoma di Trento, 1995 e da Mori di L. Dal Ri, La Grafica, 1987)
Nomesino aveva anche un castello, distrutto da Venezia nel 1439.
Lungo la strada che da Nomesimo porta a Corniano si incontra la chiesetta di S. Agata. Sorge isolata, su di un rilievo al centro di un digradante altipiano segnato dalla sequenza dei campi terrazzati. La piccola chiesa è costruita interamente in pietra a vista.
È affiancata dal campanile, massiccio, con tetto piramidale, sormontato da una piccola croce in ferro. La torre campanaria è aperta da quattro regolari finestroni romanici. L'assetto della chiesa è, infatti, romanico e tale appare ancora nonostante i rimaneggiamenti che si sono susseguiti nel tempo. I resti della primitiva chiesetta romanica sono venuti alla luce durante i lavori di restauro avvenuti negli anni 1972-73. Particolarità della chiesa di S. Agata sono le due finestre a croce, una sopra il portale e una sopra l'abside, che evidenziano un erudito studio astronomico dei costruttori dell'edificio. Infatti quando il 5 febbraio, festa di S. Agata, il sole spunta da dietro il Coni Zugna, i raggi penetrano attraverso la finestra a croce e attraversano la navata per fuoriuscire perfettamente dalla finestra a croce sopra il portale. Internamente la chiesa conservava una preziosa acquasantiera incisa con figure geometriche, fitoformi e zooformi di gusto preromanico, oggi conservata presso il Museo Diocesano di Trento.
(Testi tratti e liberamente adattati da I nomi locali dei Comuni di Mori e Ronzo Chienis, Servizio beni librari e archivistici della Provincia Autonoma di Trento, 1995 e da Mori di L. Dal Ri, La Grafica, 1987)
La visita al monte Faè permette di comprendere la complessità degli schieramenti e delle difese allestite lungo questa parte del fronte. Vi ritrovate postazioni di artiglieria, trincee in roccia e i segni di un'ampia rete trincerata che era difesa da reticolati e anche da postazioni di mitragliatrici.
Durante la guerra la valle di Gresta, a cavallo tra il Garda e la Vallagarina, era divisa in due settori: quello occidentale, con lo Stivo e il Creino sotto il comando di Riva del Garda; quello orientale dipendente da Rovereto. In quest'ultimo settore la linea difensiva risaliva da Rovereto al monte Faè e da qui proseguiva sul Nagià Grom abbassandosi poi gradualmente fino a passo San Giovanni. In questo scacchiere il monte Faè aveva funzione di caposaldo e punto di collegamento.
Sulla cima del monte correva un trincerone blindato e in roccia mentre circa cento metri a valle vi era un'altra linea di trincee. Il monte Faè e il Nagia Grom erano collegati da un sistema di trincee.
Nelle retrovie erano situati accantonamenti, depositi, baracche per comandi e servizi oltre alle postazioni di artiglieria – due canoni da 90 mm e altri da 105 mm – e a mitragliatrici che controllavano il versante di Lenzima.
Durante la guerra la valle di Gresta, a cavallo tra il Garda e la Vallagarina, era divisa in due settori: quello occidentale, con lo Stivo e il Creino sotto il comando di Riva del Garda; quello orientale dipendente da Rovereto. In quest'ultimo settore la linea difensiva risaliva da Rovereto al monte Faè e da qui proseguiva sul Nagià Grom abbassandosi poi gradualmente fino a passo San Giovanni. In questo scacchiere il monte Faè aveva funzione di caposaldo e punto di collegamento.
Sulla cima del monte correva un trincerone blindato e in roccia mentre circa cento metri a valle vi era un'altra linea di trincee. Il monte Faè e il Nagia Grom erano collegati da un sistema di trincee.
Nelle retrovie erano situati accantonamenti, depositi, baracche per comandi e servizi oltre alle postazioni di artiglieria – due canoni da 90 mm e altri da 105 mm – e a mitragliatrici che controllavano il versante di Lenzima.
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Sopra il Capitello di S.Bernardo
Sant’Agata (Corniano)
Edificio superstite del borgo di Corniano, saccheggiato dai veneziani nel XV secolo e travolto dalla peste nel ‘600. Probabilmente è di fondazione carolingia (IX secolo) come dimostrato dall’acquasantiera ora conservata al Museo Civico di Trento, con raffigurazioni di ispirazione pagana. Conserva la pianta originaria, eccetto l’ingresso (spostato da sud a ovest) e l’abside (ricostruita nel Rinascimento). All’interno sono stati ritrovati l’originaria pavimentazione e le fondazioni dell’abside romanica. Conserva tracce di affreschi quattrocenteschi che ne nascondono altri romanici (del ‘200).
Edificio superstite del borgo di Corniano, saccheggiato dai veneziani nel XV secolo e travolto dalla peste nel ‘600. Probabilmente è di fondazione carolingia (IX secolo) come dimostrato dall’acquasantiera ora conservata al Museo Civico di Trento, con raffigurazioni di ispirazione pagana. Conserva la pianta originaria, eccetto l’ingresso (spostato da sud a ovest) e l’abside (ricostruita nel Rinascimento). All’interno sono stati ritrovati l’originaria pavimentazione e le fondazioni dell’abside romanica. Conserva tracce di affreschi quattrocenteschi che ne nascondono altri romanici (del ‘200).
Il Dosso Castel è stato punto di osservazione e difesa: forse un castelliere in epoca preromana, punto strategico in epoca romana, castello di Ennemase distrutto dai Franchi nel 590, Castel Nomesino dei Castelbarco demolito, si racconta, dai venezianinel 1440 con sassi sparati da cannoni posizionati sulla strada romana nel punto dove questa si vede arrivare ad est. Vicino al Castel fu rinvenuta una lapide la cui iscrizione Maxuna Aimilia Cai Filia Annorum LXX è ritenuta la più antica del Trentino. Attualmente sono visibili e visitabili i ruderi del castello.