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Il Sentiero “San Vili” unisce Trento a Madonna di Campiglio, la Valle dell’Adige alle Dolomiti di Brenta, lungo percorsi alternativi a piedi (sentieri antichi, nuove ciclopedonali) che portano dalla città alla montagna. Il Sentiero ricalca l’antica via romana che la tradizione vuole percorsa nel 400 d.C. da Vigilio, il vescovo patrono di Trento, e dalle sue spoglie, dopo il martirio in Rendena.
Sono circa 100 chilometri, suddivisi in sei (o cinque) tappe, alla ricerca di emozioni paesaggistiche, storiche e naturalistiche.
Sono circa 100 chilometri, suddivisi in sei (o cinque) tappe, alla ricerca di emozioni paesaggistiche, storiche e naturalistiche.
11 maggio-da trento a santa massenza
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Siamo partiti naturalmente dalla maestosa piazza del Duomo, centro non solo religioso di Trento e del Trentino, siamo saliti passando sul Doss Trento e sull’antica via romana di comunicazione col Bondone e la Valle dei Laghi, fino a Sardagna. Da qui un’ ulteriore, breve salita per i castagni secolari ci porta al passo del Camponcin e, superato questo, punto più alto del percorso, a Sopramonte, con ottima sosta pranzo (visto anche il tempo non proprio clemente) al Ristorante Pizzeria Tre Cime del bravo Fabrizio Zanlucchi, ormai un’istituzione del Bondone. Si riparte poi in saliscendi verso il monte Croce (Croseta, che non saliamo), Baselga del Bondone, Vigolo Baselga e, attraverso la ciclabile che parte da Terlago, raggiungiamo, tra campi ed antichi mulini (oggetto di un lavoro di studio e di approfondimento dell’Ecomuseo della Valle dei Laghi) Vezzano. Breve sosta per una bevanda calda e poi in discesa (anche se una deviazione non prevista ci fa risalire per un tratto verso Fraveggio, una delle sette frazioni in cui si divide il comune di Vezzano) fino a Santa Massenza. Qui, alla Distilleria di Giovanni Poli (una delle 5 del paesino), acquisiamo (e, nel mio caso, acquistiamo) un breve assaggio del prodotto locale. Poi al parcheggio e la promessa di ritrovarci il giorno dopo per la nuova tappa, direzione San Lorenzo in Banale.
Trento
Già circa sette mila anni prima di Cristo, nel periodo seguente il ritiro delle ultime grandi glaciazioni, la Valle dell'Adige era colonizzata da genti mesolitiche in relazioni culturali con il nord e con il sud. Le importanti stazioni archeologiche del Località di Romagnano, del Riparo Gaban, il sepolcreto di Vela, oltre ai numerosi ulteriori reperti rinvenuti nel territorio, dimostrano come i colonizzatori di questa regione abbiano vissuto in pieno la complessa vicenda preistorica europea e come la Valle dell'Adige in epoca mesolitica fosse stata un tramite culturale notevolissimo tra Mitteleuropa e Mediterraneo. Quale centro organizzato Trento prese probabilmente dimensione nel V secolo prima di Cristo, nell'orizzonte della civiltà del ferro detta La Téne. Il piccolo oppidum celto-retico fu in seguito trasformato in piazzaforte romana, campo base della spedizione d'Augusto contro i Reti, poi tappa delle legioni da e per il Danubio. Fu sempre quindi un punto di passaggio aspramente ambito e conteso. Trento fu sede di Municipio, nodo di traffici sulla grande strada militare, la Claudia Augusta Padana, con uno sviluppo urbano di circa 17 mila metri quadrati. Trento fu sede di un ducato dei Goti, poi dei Longobardi. La Verruca, antico castelliere e luogo di rifugio per eccellenza, fu fortificata da Teodorico dinanzi all'incalzare dei barbari. La città venne quindi in mano ai Franchi di Carlo Magno, al cui regno fu aggregata come "Marca Tridentina" nel 774. Due secoli dopo Ottone I la tolse al regno di Berengario II e la inserì nel Sacro Romano Impero. Da allora, e per otto secoli e mezzo, Trento ed il suo territorio entrarono nell'area di attrazione dell'Impero romanico-germanico prima e di quello d'Austria poi. Data fondamentale per la storia di Trento è il 1027, allorché l'imperatore Corrado II il Salico donò in perpetuo e consegnò e confermò alla Chiesa di S. Vigilio il Comitato tridentino. Era allora vescovo Udalrico II. Da allora Trento fu per 776 anni capitale di uno stato autonomo, pur nella vasta organizzazione feudale dell'impero. Il vescovo-conte, che dal XIII secolo si chiamò principe, reggeva le sorti religiose e politico-militari del suo feudo. Aveva sede nel palazzo vescovile tra la cattedrale e la Torre di città. La storia medievale di Trento è contraddistinta dalla lotta contro l'espansione politica e territoriale dei conti del Tirolo che da "avvocati" e vassalli del vescovo, ne divennero i "protettori" e, in qualche movimentato periodo, praticamente i padroni. Nel XIII secolo un grande vescovo, Federico Vanga (1207-1218) riordinò il Principato socialmente e politicamente, mettendo a freno i feudatari. Verso la metà di questo secolo la sede del principe vescovo venne trasferita nel più munito Castello del Malconsey, che con neologismo augurale divenne Buonconsey, Buonconsiglio. Con la cessione dei possedimenti dei conti del Tirolo ai duchi d'Austria, del 1363, iniziò a Trento e nel Trentino in generale l'influenza degli Asburgo. Altro illuminato principe vescovo della storia trentina fu Bernardo Clesio (1514-1539). Di statura europea, seppe dare un forte sviluppo al Principato e impose alla città l'attuale volto urbanistico rinascimentale. La predispose inoltre al grande Concilio ecumenico tridentino, che egli non poté vedere. All'inizio del Settecento la città fu bombardata nella guerra di successione spagnola. La pace di Luneville del 1803 secolarizzò il Principato. Movimentati furono gli anni a seguire, che videro Trento rientrare nel Regno di Baviera, nel Regno Italico e, finalmente, dopo la batta glia di Lipsia, Trento e il suo territorio furono consegnati nel 1915 all'Austria. Nell'Ottocento la città si espanse oltre la cinta murata predisponendosi a quella che sarà la città moderna. Dopo la prima guerra mondiale Trento diviene capoluogo di provincia italiano. Dal 1948, vale a dire dopo la seconda guerra mondiale, Trento è sede del governo della Regione a statuto speciale Trentino - Alto Adige.
Sardagna
Non è chiara l'etimologia del nome "Sardagna". Una delle ipotesi ad oggi più accreditate fa derivare questo toponimo dal latino volgare che tradotto in italiano sarebbe "terra estirpata dai rovi" ovvero "suolo disboscato". La prima documentazione scritta riguardante l'abitato si trova nell'urbario vescovile del 1205, dove si legge ville Sardagne, anche se grazie ad un ritrovamento fortuito nel 1867 di alcune lapidi e statuette dedicate al culto romano della divinità Mitra (di origine persiana), si ipotizza che l'area di Sardagna fosse già stata frequentata durante l'epoca romana, almeno come luogo sacro. Sopra tale area, corrispondente all'attuale cimitero, nel XII secolo venne costruita la più antica chiesa della zona, poi ampliata alla fine del XV secolo e affrescata all'interno negli anni trenta del Cinquecento per volere della nobildonna Benedetta Cipolla dei Belenzani. Nel Cinquecento il paese era meta delle passeggiate dei padri conciliari. Il cardinale Cervini e il segretario del concilio Massarelli, erano ospiti di Lodovico de Balzani canonico della cattedrale, che a Sardagna aveva una residenza estiva, lo testimonia il suo stemma nell'architrave di un portone. Anche un altro canonico della cattedrale aveva la residenza estiva a Sardagna, il conte Gerolamo Bucelleni, il suo stemma si trova sopra la porta della canonica e in un altro edificio, posto in piazza. Il 10 ottobre 1679 ci fu l'erezione a curazia della comunità, da questa data i sacerdoti risiedevano stabilmente a Sardagna. Nel settembre 1703, durante la guerra di secessione spagnola, passarono da Sardagna le truppe francesi che bombardarono per una settimana la città di Trento. Negli archivi storici della città di Trento si trovano registri di Schützen (Sìzeri) che hanno combattuto contro le truppe francesi. Nel 1724 un incendio distrusse l'archivio della curazia, è per questo motivo che si trovano pochi documenti antecedenti questa data. Il paese andò col tempo ingrandendosi e, nel 1742, fu eretta la nuova chiesa nel centro del paese con funzioni di Chiesa principale dedicata ai SS. Filippo e Giacomo.
L'11 febbraio 1910 Sardagna, oramai diventata Comune tirolese, fu elevata allo status di Parrocchia. Gli abitanti di quel tempo erano 750. Nel 1926, per Regio decreto, il Comune di Sardagna (assieme ad altri 10 comuni limitrofi) fu assorbito dal Comune di Trento. Nel decennio 1970-1980 Sardagna è riconosciuta Circoscrizione: "organismo di decentramento, partecipazione e consultazione popolare".
L'11 febbraio 1910 Sardagna, oramai diventata Comune tirolese, fu elevata allo status di Parrocchia. Gli abitanti di quel tempo erano 750. Nel 1926, per Regio decreto, il Comune di Sardagna (assieme ad altri 10 comuni limitrofi) fu assorbito dal Comune di Trento. Nel decennio 1970-1980 Sardagna è riconosciuta Circoscrizione: "organismo di decentramento, partecipazione e consultazione popolare".
Sopramonte
Per Sopramonte si intendeva anticamente una vasta regione montana comprendente più villaggi, come d'altronde si trova tutt'ora in molte parte del territorio trentino (Cimone, Terragnolo etc.). La matrice del villaggio odierno fu Oveno, nome probabilmente derivato dal termine “ovino”. Il primo insediamento era molto lontano dall'attuale, a circa 1500 m. di quota quando una rovinosa frana staccatasi dalla Cima Palon lo distrusse, costringendo i pastori ed i cacciatori che vi abitavano a cercare un posto più a valle. Si formò così un castelliere (Rocca di Castelpiano) sul Monte Croce, di cui ormai si è quasi dimenticata l'esistenza. Poi si sviluppò il paese più a valle e via via si vennero a creare anche i vicini paesi di Baselga, Cadine, Vigolo, stretti in un'unica Comunità economico-amministrativa retta da un Decano che aveva sede proprio a Sopramonte, per conto dei vari governi che risiedevano nel capoluogo,. Le prime fonti scritte sono del XII sec. ed il nome Oveno venne usato fino al 1445. Il centro storico mantiene ancora in gran parte l'organizzazione urbanistica tipica della sua posizione a terrazzo, naturalmente alternata a moderne abitazioni o ristrutturazioni che non ledono però il piacevole paesaggio urbano tipico dei borghi tardo medievali. Di notevole interesse storico il campanile romanico (XII° sec.) della chiesa parrocchiale che tradizione vuole eretto con le pietre del castello succitato di Castelpiano. La chiesa, di recente ristrutturazione, è comunque d'epoca moderna (seconda metà dell'ottocento). Inoltre, nella località di S.Anna il Monastero, la cui esistenza è documentata sin dal XIII° sec.
Vezzano
Il primitivo nucleo abitato, sede del “Vicus Vettiani” (uno dei pochi toponimi trentini documentati dall’epigrafia romana), sarebbe stato ospitato a Soravilla, la zona pianeggiante verso sud, ai piedi della Bastia, dove sono stati rinvenuti numerosi segni della dominazione romana e del passaggio dei Barbari. Nel 1527 l’antico villaggio fu eretto al grado di borgo dal principe vescovo Bernardo Clesio per la fedeltà dimostrata dagli abitanti nella guerra rustica. Il documento attestante il fatto è conservato nell’archivio storico comunale. Nei primi decenni del 1500 la rivolta contadina, scoppiata in Germania ed alimentata dalle dottrine luterane, era dilagata anche nel nostro territorio, retto dal principe vescovo Bernardo da Cles. La situazione si era fatta sempre più difficile, al punto che il Clesio era stato costretto a fuggire da Trento ed a cercare rifugio nella rocca di Riva del Garda. Passando attraverso i nostri paesi, in gran parte sollevatisi in rivolta, aveva ottenuto appoggio e protezione dai Vezzanesi, che lo avevano poi scortato fino alla fine del suo viaggio.
Conclusa la guerra, il 12 novembre 1527 Bernardo Clesio, riconoscente per l’aiuto ricevuto, fece inviare a Vezzano la pergamena. Il titolo fu ufficialmente riconosciuto dall’imperatore d’Austria nel 1895. Vezzano fu risparmiato dalla distruzione di Vendome (generale a capo delle truppe dell’esercito napoleonico) nel 1703 e fu occupato, nel 1809, all’epoca dell’insurrezione tirolese di Andrea Hofer, dai Francesi del generale Peyri. In quei tempi i Bavaresi amavano soggiornare nelle ville della “Toresela” e del “Picarel”. Il 15 aprile 1848, i volontari lombardi dei Corpi franchi provenienti dalle Giudicarie entrarono anche a Vezzano, dove inalberarono la bandiera tricolore.
Nel 1918 il paese fu prescelto a sede del XX Corpo di armata austriaca del generale Josef von Roth. Vi era pure stabilito il Comando generale della scacchiera operativa dal Monte Baldo all’Adamello posto agli ordini del generale Konnen Horack. Vezzano fu sede di Giudizio distrettuale e poi di Pretura fino al 1931. L’abitato, dal volto rustico-signorile caratterizzato dall’edilizia medioatesina con qualche influenza giudicariese, era in passato sede tradizionale di un buon artigianato, di filande, tintorie e mulini che traevano l’energia dalla Roggia granda, proveniente Naran – territorio ricco di terreni coltivabili situato a nord est dell’abitato; essa si gettava in paese lungo la ripida via Borgo, dove fiorivano gran parte di queste attività. Attualmente il paese è in fase espansiva; infatti dopo i decenni scorsi caratterizzati da emigrazione, soprattutto verso la città, si registra un certo ritorno alla periferia, facilitato dalla veloce percorrenza viaria, dai servizi e dall’ambiente più a misura d’uomo. Finalmente c’è maggior attenzione alla valorizzazione ed al recupero degli alloggi in centro storico, in passato abbandonati; questo fa si che sia salvaguardato il prezioso territorio circostante dalle notevoli valenze ambientali, a vantaggio del centro che rimane molto vitale. In posizione eminente spicca la chiesa dedicata ai Santi Vigilio e Valentino; l’opera in stile neo-gotico è stata eretta nei primi anni del ‘900 dopo l’abbattimento della precedente le cui origini sono ricordate già nel 1200.
Conclusa la guerra, il 12 novembre 1527 Bernardo Clesio, riconoscente per l’aiuto ricevuto, fece inviare a Vezzano la pergamena. Il titolo fu ufficialmente riconosciuto dall’imperatore d’Austria nel 1895. Vezzano fu risparmiato dalla distruzione di Vendome (generale a capo delle truppe dell’esercito napoleonico) nel 1703 e fu occupato, nel 1809, all’epoca dell’insurrezione tirolese di Andrea Hofer, dai Francesi del generale Peyri. In quei tempi i Bavaresi amavano soggiornare nelle ville della “Toresela” e del “Picarel”. Il 15 aprile 1848, i volontari lombardi dei Corpi franchi provenienti dalle Giudicarie entrarono anche a Vezzano, dove inalberarono la bandiera tricolore.
Nel 1918 il paese fu prescelto a sede del XX Corpo di armata austriaca del generale Josef von Roth. Vi era pure stabilito il Comando generale della scacchiera operativa dal Monte Baldo all’Adamello posto agli ordini del generale Konnen Horack. Vezzano fu sede di Giudizio distrettuale e poi di Pretura fino al 1931. L’abitato, dal volto rustico-signorile caratterizzato dall’edilizia medioatesina con qualche influenza giudicariese, era in passato sede tradizionale di un buon artigianato, di filande, tintorie e mulini che traevano l’energia dalla Roggia granda, proveniente Naran – territorio ricco di terreni coltivabili situato a nord est dell’abitato; essa si gettava in paese lungo la ripida via Borgo, dove fiorivano gran parte di queste attività. Attualmente il paese è in fase espansiva; infatti dopo i decenni scorsi caratterizzati da emigrazione, soprattutto verso la città, si registra un certo ritorno alla periferia, facilitato dalla veloce percorrenza viaria, dai servizi e dall’ambiente più a misura d’uomo. Finalmente c’è maggior attenzione alla valorizzazione ed al recupero degli alloggi in centro storico, in passato abbandonati; questo fa si che sia salvaguardato il prezioso territorio circostante dalle notevoli valenze ambientali, a vantaggio del centro che rimane molto vitale. In posizione eminente spicca la chiesa dedicata ai Santi Vigilio e Valentino; l’opera in stile neo-gotico è stata eretta nei primi anni del ‘900 dopo l’abbattimento della precedente le cui origini sono ricordate già nel 1200.
Santa Massenza
Il paese, fino al 1544, era chiamato Maiano. La tradizione vuole che vi abbia abitato Santa Massenza, madre di San Vigilio. L'agglomerato antico, caratterizzato da androni e corti, è situato su un dosso roccioso sopra l'omonimo lago nel quale si scaricano i deflussi del Sarca e del Lago di Molveno utilizzati dalla centrale idroelettrica di Santa Massenza, una delle più grandi d'Italia e, in caverna, del mondo. L'abitato, per la sua posizione amena e fortunata, gode di un clima molto mite che consente la coltivazione della vite e dell'olivo. Da Santa Massenza, per un'antica mulattiera che risale la vallecola della Campagna in un paesaggio ricco di terrazze di coltura, rosmarini e allori, si può salire a Fraveggio. Continuando per la strada asfaltata, dopo il parco dei trasformatori, si arriva al maso Sottovì, le cui origini risalgono all'epoca romana. Qui è posta una lapide a ricordo della cattura di Enrico Blondel e di sedici volontari italiani dei Corpi franchi di Michele Allemandi, avvenuta nel maso e sul vicino promontorio della Ponte il 15 aprile 1848, poi fucilati nella fossa del Castello del Buonconsiglio.
12 maggio-da santa massenza a san lorenzo in banale
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Partiti in una giornata più che uggiosa (che ha dato qualche acquoso frutto senza tuttavia bagnarci troppo) dopo la sosta caffè (Fashion bar Due Laghi) percorriamo le sognanti sponde del lago di Toblino fino al castello. Da qui la salita che per ardita strada (il fondo è asfaltato e, per alcuni tratti, selciato) porta fino alla periferia di Ranzo. Dato il tempo non siamo saliti in paese dove, oltre al bar si potevano ammirare dal di fuori le mura della chiesa di San Nicola e più in là, la cappella dedicata al santo patrono di Trento a cui questo cammino è dedicato. Lasciando presto la strada asfaltata ci immergiamo nell'ostico paesaggio del sentiero a picco sulla Forra del torrente Limarò che, arrivato nella piana nei pressi di Sarche, si getta nell'alveo del Sarca. Con saliscendi mai arditi e la tagliata della strada sottostante e del torrente sempre in vista, aggiriamo la forra fino ad arrivare alle case di Deggia. Fattosi maggiormente brutto il tempo ed arrivata l'ora del mezzodì, chiediamo ospitalità al B&B Athabaska, chiuso ma che ci offre comunque un riparo dagli elementi (soprattutto il vento) e soprattutto uno squisito piatto di formaggio con del pane e del vino, piatto gustoso per ogni affamato viandante. Unendo questo ai nostri panini approntati per l'occasione ne viene fuori (alla fine ci scappa anche il caffè) un ottimo anche se frugale pasto, che ci rinfranca e ci fa ringraziare di cuore i due ragazzi edi loro cani da slitta, ora disoccupati ma in attesa di un nuovo e copioso inverno. Dopo il pasto saliamo ancora un po' fino al Santuario di Deggia, effettiva meta di questo cammino e poi ritorniamo sui nostri passi scendendo a Moline, dove sembra impossibile che, unito alle poche case di Deggia, nei primi anni del Novecento ci fossero come abitanti 140 anime. Da Moline una lunga ed asfaltata salita (mai erta però), ci porta fino a San Lorenzo in Banale. Data l'incertezza del tempo è saltata l'ultima salita che avrei voluto fare fino a Castel Mani ma....sarà per un'altra volta.
Lago di S.Massenza
Il lago di S. Massenza, collegato a quello di Toblino, ha subìto nel tempo numerose trasformazioni fisiche, ambientali e biologiche. Il lago di Santa Massenza, che si trova nell’omonima frazione del comune di Vezzano (ora Vallelaghi), è nato dall’erosione glaciale. È collegato al Lago di Toblino da un canale sopra il quale passa la strada statale Gardesana e accoglie le acque del fiume Sarca e del lago di Molveno per far funzionare la centrale idroelettrica di Santa Massenza. Il collegamento di questi due laghi offre ai visitatori un romantico panorama. Per gli appassionati della fauna ittica c’è l’imbarazzo della scelta: anguille, barbi, carpe, carpioni, cavedani, coregoni, perche, persici sole, savette, scardole, scazzoni, tinche, triotti, trote iridee, trote fario e vaironi. La conca mite di Santa Massenza è capitale della grappa e zona di ulivi e viti, broccoli e tartufo nero.
Ranzo
L'antico villaggio di Ranzo è situato su una breve sella terrazzata, tra il vallone del Rio Ranzo e la gola del Sarca, tra il Gazza e il Dain Picol, in una posizione interessante e solitaria. La sua origine affonda le radici nella strada romana, su pista preistorica, che collegava la conca di Toblino, e quindi la Valle dell'Adige, con le Giudicarie. La singolare situazione umana di Ranzo, unico posto di sosta lungo un tragitto tra i più selvaggi e aspri dell'intero arco alpino, dipende dalla sua particolare posizione geografica. Il dialetto, l'edilizia tradizionale e l'economia sono ormai giudicariesi, mentre l'influenza politico-economica è vezzanese. Prima della costruzione dell'attuale strada (1957), Ranzo era collegato con il fondovalle con le impervie mulattiere dello Scai (Margone) e del Rio de la Val (Toblino). La realizzazione dell'acquedotto risale al 1954. La prima acqua corrente fu accolta dal suono delle campane e dal canto del Te Deum. In passato, oltre ai pozzi, l'unica fonte perenne era quella della "fontanella" che nei periodici di siccità il capocomune chiudeva a chiave e apriva alle 11.00 di ogni giorno per consentire ad ogni famiglia di rifornirsi di due secchi di acqua. Una seconda fonte perenne scaturisce dai tufi della gola del Limarò. La scarsa economia agricola tradizionale di Ranzo, esposta alla siccità estiva, era integrata dalle fornaci di calce e dall'emigrazione periodica dei boscaioli. Dall'abitato si può percorrere l'antica via di San Vigilio che sale per la Val Busa e poi continua lungo la forra del Sarca fino a Deggia ai piedi della grande frana di Molveno e alle Moline per poi risalire a San Lorenzo. Presso il Dos Pagan sono visibili le tracce dell'antica strada romana. Sulla roccia sono incisi i segni lasciati, attraverso i secoli, dall'asse dei carri e sul fondo, le profonde carreggiate. La strada passa alta sopra il Sarca e nella roccia sono scavate alcune nicchie con statuette di santi, ex voto dei boscaloli che erano costretti a cimentarsi nel taglio del bosco sugli strapiombi.
La Forra del Limarò
Il canyon di Limarò è una forra naturale che il fiume Sarca crea fra la località Villa Banale di Stenico e la località Sarche nel Basso Sarca. Il percorso della forra si può far partire dall'incrocio tra la Strada statale 237 del Caffaro e la Strada statale 421 dei Laghi di Molveno e Tenno, presso il ponte dei Servi, sotto al Doss da Doa (639 m). Scendendo lungo la riva sinistra del fiume, si scorgono delle sculture naturali che nel corso dei secoli esso ha scavato grazie al movimento dell'acqua; la roccia si osserva essere composta da rocce calcaree rosse e grigie. È possibile discendere lungo un percorso pedonale che conduce anche al vecchio ponte detto "Balandin" e ad una calchera.
Il canyon di Limarò è una forra naturale che il fiume Sarca crea fra la località Villa Banale di Stenico e la località Sarche nel Basso Sarca. Il percorso della forra si può far partire dall'incrocio tra la Strada statale 237 del Caffaro e la Strada statale 421 dei Laghi di Molveno e Tenno, presso il ponte dei Servi, sotto al Doss da Doa (639 m). Scendendo lungo la riva sinistra del fiume, si scorgono delle sculture naturali che nel corso dei secoli esso ha scavato grazie al movimento dell'acqua; la roccia si osserva essere composta da rocce calcaree rosse e grigie. È possibile discendere lungo un percorso pedonale che conduce anche al vecchio ponte detto "Balandin" e ad una calchera.
Moline e Deggia
Moline, suggestivo borgo sul Rio Bondai un tempo centro economico del paese grazie alla presenza dei mulini per fucine e macine e Deggia lungo una caratteristica strada selciata che ci porta al Santuario della Madonna del Caravaggio.
Arrivi a Deggia e ti sembra di essere a centinaia di chilometri da tutto, in una sorta di mondo parallelo a quello che ti circonda ogni giorno. Il Santuario della Madonna del Caravaggio in cima a una ripida salita di acciottolato, qualche casetta sparsa, poco a valle il borgo di Moline con il ponte romano sul Bondai, a sud la forra del Limarò. E ancora, da una parte il colle Beo e dall'altra il Gazza a garantire quell'isolamento che rende inimitabile questa località amena a due passi da San Lorenzo in Banale. Pochi i rumori che si odono da queste parti, nella bella stagione passano diversi escursionisti e biker che per raggiungere Molveno scelgono questa strada poco nota e suggestiva, altrimenti sono solo gli animali a rompere il silenzio, a meno che non sia proprio l'ora del postino, uno dei pochi che si addentrano in macchina da queste parti. Chi passa di qui, però, non può fare a meno di notare i prati dove una quarantina tra pecore, lama, alpaca, mucche, maialini thailandesi e cani si godono almeno quanto noi ciò che li circonda. Accanto, una casa rustica e una targhetta «Athabaska». Qui si trova infatti la sede dell'azienda nata dall'idea di due giovani fratelli che hanno deciso di trasformare il proprio amore per gli animali in un lavoro. Loro sono i rendenesi Maurizio e Lorenzo Cattafesta , hanno 32 e 23 anni e a Deggia hanno comprato stabile e terreni per dar vita a un progetto assolutamente innovativo per il Trentino. Il loro intento è quello di rivalutare questo lembo di Giudicarie, praticamente abbandonato dalla popolazione, mediante attività con gli animali che permettano di scoprire in modo sostenibile i paesaggi rurali e gli antichi borghi di montagna. Il tutto partendo da una pluriennale esperienza con cani da slitta (Athabaska ora opera soprattutto a Madonna di Campiglio), oltre che con camelidi, bovini, equini e altri animali da cortile. Ora i fratelli Cattafesta, aiutati da collaboratori e amici nelle faccende agresti, si stanno adoperando per avviare a Deggia una struttura agrituristica con fattoria didattica e scuola di sleddog annessa. Loro la chiamano «ritorno della vita-lavoro alle origini», basata sull'autoproduzione dei beni alimentari (carne, latte, prodotti caseari) e sulla riscoperta degli antichi mestieri, come la lavorazione del legno e della lana di lama e alpaca. Nella fattoria ogni bestiola ha un nome e il rapporto tra allevatori e animali è qualcosa di straordinario. Tutto ciò, nel progetto, non si ferma però alla sola sussistenza, ma si inserisce in un discorso di offerta turistica basata appunto sulla conoscenza della vita contadina tramite il contatto diretto con la fattoria e i suoi ritmi. Lama-trekking, dog-trekking, visite guidate alla fattoria, proposte per le scuole, buffet a base di prodotti locali, giocattoli e oggettistica in lana e legno, queste le variegate proposte (alcune già attive nella bella stagione) alle quali stanno lavorando a Deggia. (Articolo de L'Adige)
Nella località di Deggia, antica frazione di San Lorenzo in Banale si trova il santuario dedicato alla Madonna di Caravaggio. Edificato alla fine dell'Ottocento la chiesa fu costruita con le rimesse degli emigranti. L'ultima domenica di maggio si ritrovano i fedeli del Banale, del Vezzanese e dell'Altopiano della Paganella. Delle donne che venivano dall'altopiano si ricorda che indossavano le scarpe buone poco prima del Santuario. Gli zoccoli lasciati in fila a lato della strada recano testimonianza, nella memoria dei più anziani, ad una sobrietà perduta.
Arrivi a Deggia e ti sembra di essere a centinaia di chilometri da tutto, in una sorta di mondo parallelo a quello che ti circonda ogni giorno. Il Santuario della Madonna del Caravaggio in cima a una ripida salita di acciottolato, qualche casetta sparsa, poco a valle il borgo di Moline con il ponte romano sul Bondai, a sud la forra del Limarò. E ancora, da una parte il colle Beo e dall'altra il Gazza a garantire quell'isolamento che rende inimitabile questa località amena a due passi da San Lorenzo in Banale. Pochi i rumori che si odono da queste parti, nella bella stagione passano diversi escursionisti e biker che per raggiungere Molveno scelgono questa strada poco nota e suggestiva, altrimenti sono solo gli animali a rompere il silenzio, a meno che non sia proprio l'ora del postino, uno dei pochi che si addentrano in macchina da queste parti. Chi passa di qui, però, non può fare a meno di notare i prati dove una quarantina tra pecore, lama, alpaca, mucche, maialini thailandesi e cani si godono almeno quanto noi ciò che li circonda. Accanto, una casa rustica e una targhetta «Athabaska». Qui si trova infatti la sede dell'azienda nata dall'idea di due giovani fratelli che hanno deciso di trasformare il proprio amore per gli animali in un lavoro. Loro sono i rendenesi Maurizio e Lorenzo Cattafesta , hanno 32 e 23 anni e a Deggia hanno comprato stabile e terreni per dar vita a un progetto assolutamente innovativo per il Trentino. Il loro intento è quello di rivalutare questo lembo di Giudicarie, praticamente abbandonato dalla popolazione, mediante attività con gli animali che permettano di scoprire in modo sostenibile i paesaggi rurali e gli antichi borghi di montagna. Il tutto partendo da una pluriennale esperienza con cani da slitta (Athabaska ora opera soprattutto a Madonna di Campiglio), oltre che con camelidi, bovini, equini e altri animali da cortile. Ora i fratelli Cattafesta, aiutati da collaboratori e amici nelle faccende agresti, si stanno adoperando per avviare a Deggia una struttura agrituristica con fattoria didattica e scuola di sleddog annessa. Loro la chiamano «ritorno della vita-lavoro alle origini», basata sull'autoproduzione dei beni alimentari (carne, latte, prodotti caseari) e sulla riscoperta degli antichi mestieri, come la lavorazione del legno e della lana di lama e alpaca. Nella fattoria ogni bestiola ha un nome e il rapporto tra allevatori e animali è qualcosa di straordinario. Tutto ciò, nel progetto, non si ferma però alla sola sussistenza, ma si inserisce in un discorso di offerta turistica basata appunto sulla conoscenza della vita contadina tramite il contatto diretto con la fattoria e i suoi ritmi. Lama-trekking, dog-trekking, visite guidate alla fattoria, proposte per le scuole, buffet a base di prodotti locali, giocattoli e oggettistica in lana e legno, queste le variegate proposte (alcune già attive nella bella stagione) alle quali stanno lavorando a Deggia. (Articolo de L'Adige)
Nella località di Deggia, antica frazione di San Lorenzo in Banale si trova il santuario dedicato alla Madonna di Caravaggio. Edificato alla fine dell'Ottocento la chiesa fu costruita con le rimesse degli emigranti. L'ultima domenica di maggio si ritrovano i fedeli del Banale, del Vezzanese e dell'Altopiano della Paganella. Delle donne che venivano dall'altopiano si ricorda che indossavano le scarpe buone poco prima del Santuario. Gli zoccoli lasciati in fila a lato della strada recano testimonianza, nella memoria dei più anziani, ad una sobrietà perduta.
video di Ferdinando Gonzaga
San Lorenzo in Banale
Splendido territorio entrato con tutti gli onori nel club dei "I Borghi più belli d’Italia". Disteso su una vasta e soleggiata terrazza verde affacciata sulla valle e sorvegliato alle spalle dalle imponenti Dolomiti di Brenta, San Lorenzo in Banale è un antico borgo contadino nato dalla fusione di sette Ville: Berghi, Pergnano, Senaso, Dolaso, Prato, Prusa e Glolo. La visita alle sette Ville non può che cominciare dalla Casa del Parco “C’era una volta”. Posta nella bella Casa Oséi raccoglie tutta la storia contadina di queste terre. Il vicino teatro comunale è un’antica chiesa sconsacrata e restaurata per volontà degli abitanti, dove la spiritualità dell’arte si confonde con quella della religione. Posto all’imbocco della splendida Val d’Ambièz, San Lorenzo è anche la porta di accesso al Parco Naturale Adamello Brenta. Le differenze tra le varie ville erano un tempo ben marcate e nei loro vicoli stretti si rintracciano ancora i costumi e le usanze di un tempo. Da ammirare nelle sale della Casa del Parco “C’era una volta” e da assaporare nell’impasto unico della ciuìga, rara prelibatezza di arte norcina locale a base di carne suina e rape, oggi presidio Slow Food. Sprofondato nel verde, San Lorenzo offre ai suoi ospiti non solo un’emozione e una pace uniche, cullate dal rumore dell’acqua delle fontane, ma tante possibilità di svago e di sport assolutamente naturali. Nel borgo sono dodici i capitelli che offrono sollievo alle preoccupazioni.