Sottotitolo:Anche la pianura ha il suo fascino
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Il Giro in video
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Un itinerario quasi sempre pianeggiante lungo il Mincio con i suoi uccelli selvatici.Si parte dal cimitero di Monzambano e per buona parte si cammina sul bordo del fiume Mincio. Quindi ci spostiamo a sudovest affiancando alcune vecchie cascine ora ben ristrutturate per giungere quindi al forte Ardietti di origine austriaca che visiteremo accompagnati da
una guida locale. Poi proseguiamo e giungiamo al Santuario della Madonna del Frassino dove è prevista la sosta pranzo libera o a prezzo concordato in loco (alla Locanda del Santuario). Nel primo pomeriggio ripartiamo,aggiriamo il monte Croce e giungiamo quindi a Ponti sul Mincio dove visiteremo anche il Castello scaligero con due guide locali.
Ripartiamo infine ed in breve giungiamo al nostro punto di partenza.
CARATTERISTICHE:
DISLIVELLO: 250 m -
DIFFICOLTA': facile/media -
DISTANZA: 20 km -
DURATA: 5 ore e 30 min. senza contare le soste
una guida locale. Poi proseguiamo e giungiamo al Santuario della Madonna del Frassino dove è prevista la sosta pranzo libera o a prezzo concordato in loco (alla Locanda del Santuario). Nel primo pomeriggio ripartiamo,aggiriamo il monte Croce e giungiamo quindi a Ponti sul Mincio dove visiteremo anche il Castello scaligero con due guide locali.
Ripartiamo infine ed in breve giungiamo al nostro punto di partenza.
CARATTERISTICHE:
DISLIVELLO: 250 m -
DIFFICOLTA': facile/media -
DISTANZA: 20 km -
DURATA: 5 ore e 30 min. senza contare le soste
monzambano
Monzambano, uno splendido paese immerso nelle colline moreniche.Dal qui inizia la dolce passeggiata lungo la valle del Mincio che conduce fino a Mantova e quindi al Po. Ulivi e cipressi si scorgono tra i vigneti rendendo al paesaggio una particolare bellezza.
L'antico borgo di Monzambano, su una collina alta circa 90 metri, si annuncia con torri e mura di un antico castello. Il Castello, che si erge sul paese, è ancora come nel dodicesimo secolo, quando fu costruito. La chiesa, che insieme al castello offre uno splendido panorama, è stata costruita tra il 1743 e il 1777. Costruita al margine dell’altopiano, il suo stile barocco dona al paesaggio circostante una leggera armonia. Finissimi intarsi in marmo e la pala dell’altar maggiore, che rappresenta il trionfo di S. Michele Arcangelo a cui è dedicata, la rendono particolarmente preziosa.
L’agricoltura, insieme ai vigneti, è la risorsa principale del paese, condotta con mezzi modesti su un terreno arido e sassoso.
Monzambano faceva parte almeno dal 1199, con Ponti, Peschiera e Valeggio, del sistema difensivo Veronese ad est, costituito da castrum posti in posizioni tattiche per preservare i confini Scaligeri. Quando Verona nel 1495 finì sotto l'influenza veneziana, anche Monzambano ne seguì le sorti. Il paese rimase sotto la Serenissima fino al 1797, anno della calata di Napoleone Bonaparte in Italia, quando il castello divenne un caposaldo della resistenza Veneta ai Francesi. Napoleone dopo la vittoria potè da qui partire alla conquista della stessa Verona e Venezia. Con il trattato di Campoformio, Monzambano entrò a far parte della Repubblica Cisalpina, dapprima nel Dipartimento del Benaco (maggio 1798), in seguito in quello del Mincio (settembre 1798). Da quel momento, la sua storia si legò a quella mantovana. Nel corso della prima guerra di indipendenza, il 9 aprile 1848 Monzambano fu teatro di uno scontro tra una divisione piemontese (generale Breglia) e forze austriache che, dopo aver abbandonato la zona, si attestarono al di là del Mincio distruggendo il ponte. I genieri riuscirono tuttavia a riattivarlo e le truppe piemontesi passarono il fiume costringendo gli Austriaci alla ritirata. Nel corso della terza guerra di indipendenza, nella stessa giornata della sconfitta di Custoza, 24 giugno 1866, il ponte di Monzambano fu vittoriosamente difeso da cavalleria e fanteria italiana che, comandate da Pianell, respinsero gli attacchi austriaci tesi a tagliare una delle vie di ritirata. Presenti nelle due battaglie anche i Carabinieri ai quali il 25 marzo 2006 è stato intitolato lo storico ponte.
L'antico borgo di Monzambano, su una collina alta circa 90 metri, si annuncia con torri e mura di un antico castello. Il Castello, che si erge sul paese, è ancora come nel dodicesimo secolo, quando fu costruito. La chiesa, che insieme al castello offre uno splendido panorama, è stata costruita tra il 1743 e il 1777. Costruita al margine dell’altopiano, il suo stile barocco dona al paesaggio circostante una leggera armonia. Finissimi intarsi in marmo e la pala dell’altar maggiore, che rappresenta il trionfo di S. Michele Arcangelo a cui è dedicata, la rendono particolarmente preziosa.
L’agricoltura, insieme ai vigneti, è la risorsa principale del paese, condotta con mezzi modesti su un terreno arido e sassoso.
Monzambano faceva parte almeno dal 1199, con Ponti, Peschiera e Valeggio, del sistema difensivo Veronese ad est, costituito da castrum posti in posizioni tattiche per preservare i confini Scaligeri. Quando Verona nel 1495 finì sotto l'influenza veneziana, anche Monzambano ne seguì le sorti. Il paese rimase sotto la Serenissima fino al 1797, anno della calata di Napoleone Bonaparte in Italia, quando il castello divenne un caposaldo della resistenza Veneta ai Francesi. Napoleone dopo la vittoria potè da qui partire alla conquista della stessa Verona e Venezia. Con il trattato di Campoformio, Monzambano entrò a far parte della Repubblica Cisalpina, dapprima nel Dipartimento del Benaco (maggio 1798), in seguito in quello del Mincio (settembre 1798). Da quel momento, la sua storia si legò a quella mantovana. Nel corso della prima guerra di indipendenza, il 9 aprile 1848 Monzambano fu teatro di uno scontro tra una divisione piemontese (generale Breglia) e forze austriache che, dopo aver abbandonato la zona, si attestarono al di là del Mincio distruggendo il ponte. I genieri riuscirono tuttavia a riattivarlo e le truppe piemontesi passarono il fiume costringendo gli Austriaci alla ritirata. Nel corso della terza guerra di indipendenza, nella stessa giornata della sconfitta di Custoza, 24 giugno 1866, il ponte di Monzambano fu vittoriosamente difeso da cavalleria e fanteria italiana che, comandate da Pianell, respinsero gli attacchi austriaci tesi a tagliare una delle vie di ritirata. Presenti nelle due battaglie anche i Carabinieri ai quali il 25 marzo 2006 è stato intitolato lo storico ponte.
Forte Ardietti
Il Forte Ardietti (o Forte n° VI) fu costruito tra il 1853 e il 1861 come parte del rafforzamento del campo trincerato di Peschiera effettuato per ordine del maresciallo Radetzky all'epoca comandante delle forze austriache in Italia. Il Forte viene costruito in seguito agli eventi della Prima Guerra di Indipendenza Italiana (1848-1849) che videro la città cadere nelle mani delle forze Sardo-Piemontesi (30 maggio). Peschiera del Garda, e con essa il forte appartiene al cosidetto Quadrilatero, un insieme di quattro città fortificate appoggiate sulla linea dei fiumi Mincio (Peschiera e Mantova) e Adige (Verona e Legnago) che sono il centro del controllo militare austriaco in Italia. Il Forte viene costruito in due fasi, in una prima fase 1853-1859, viene scavato il fossato ed edificate le opere in terra, il muro alla Carnot e le Caponiere, in una seconda fase, 1859-1861 viene edificato il ridotto centrale, il Forte diventa quindi il cardine del campo trincerato ed uno dei forti meglio muniti del quadrilatero con una guarnigione di 612 uomini e 25 cannoni di vari calibri tra cui 4 modernissimi pezzi a canna rigata e retrocarica. Il Forte rimane austriaco fino al 1866 quando a seguito della Terza Guerra di Indipendenza passa al Regno di Italia. Rimane fortezza vera e propria fino al 1918, dopodichè diviene un deposito munizione e tale rimane fino al 1998 quando passa al Demanio civile. All'interno sono conservati alcuni pezzi di artiglieria a partire dal 1500 fino alla guerra di Corea (1948-1953)
Il Forte Ardietti (o Forte n° VI) fu costruito tra il 1853 e il 1861 come parte del rafforzamento del campo trincerato di Peschiera effettuato per ordine del maresciallo Radetzky all'epoca comandante delle forze austriache in Italia. Il Forte viene costruito in seguito agli eventi della Prima Guerra di Indipendenza Italiana (1848-1849) che videro la città cadere nelle mani delle forze Sardo-Piemontesi (30 maggio). Peschiera del Garda, e con essa il forte appartiene al cosidetto Quadrilatero, un insieme di quattro città fortificate appoggiate sulla linea dei fiumi Mincio (Peschiera e Mantova) e Adige (Verona e Legnago) che sono il centro del controllo militare austriaco in Italia. Il Forte viene costruito in due fasi, in una prima fase 1853-1859, viene scavato il fossato ed edificate le opere in terra, il muro alla Carnot e le Caponiere, in una seconda fase, 1859-1861 viene edificato il ridotto centrale, il Forte diventa quindi il cardine del campo trincerato ed uno dei forti meglio muniti del quadrilatero con una guarnigione di 612 uomini e 25 cannoni di vari calibri tra cui 4 modernissimi pezzi a canna rigata e retrocarica. Il Forte rimane austriaco fino al 1866 quando a seguito della Terza Guerra di Indipendenza passa al Regno di Italia. Rimane fortezza vera e propria fino al 1918, dopodichè diviene un deposito munizione e tale rimane fino al 1998 quando passa al Demanio civile. All'interno sono conservati alcuni pezzi di artiglieria a partire dal 1500 fino alla guerra di Corea (1948-1953)
Assassin's Creed a Forte Ardietti
Questa primavera una troupe Canadese si è recata al Forte Ardietti per effettuare delle riprese assieme all'associazione Assassin’s Creed Italia, nell'ambito di un documentario rivolto a mostrare la vastità del fandom del franchising del videogioco della Ubisoft a dieci anni dall'uscita del primo capitolo.
L'associazione composta da ragazzi e ragazze che si vestono come i personaggi del videogioco, rappresenta la parte più visibile e anche la più spettacolare di un fandom in rapida espansione e che al giorno d'oggi può affiancarsi a realtà assai più consolidate come le comunità di fan di Star Trek o Star Wars.
Assassin's Creed, il Credo dell'Assassino, parole che sembrano celare qualcosa di terrificante ma che in realtà sono il titolo di una serie di videogiochi che ha oramai 10 anni e a cui bisogna aggiungere un numero sterminato tra spin off, fumetti, e un film uscito quest'anno.
La trama è molto complicata e si dipana per diversi secoli. Narra della lotta tra il bene (gli assassini) e il male (i templari) che ha come prezzo il libero arbitrio dell'umanità. La caratteristica più innovativa, di una storia altrimenti alquanto tradizionale, è il protagonista che vive in due ere distinte, la nostra e il suo passato genetico che può essere richiamato tramite una macchina detta animus che fa rivivere i ricordi dei propri antenati. Una storia affascinante che condita con un gameplay che lascia un’estrema libertà di azione e particolareggiate ricostruzioni ambientali di città del passato come Costantinopoli, la Firenze, la Venezia rinascimentali, la Boston coloniale, la Parigi rivoluzionaria o la Londra Vittoriana, non possono che essere la ricetta di un successo.
Ma perché Forte Ardietti? L'associazione ha deciso di venire al forte proprio per le qualità che lo rendono un unico e perfetto set cinematografico, il suo essere un luogo quasi intatto, come uno scrigno racchiuso nel tempo, e la sua versatilità, che consente di potere adattare i suoi ambienti a molti usi e per molte epoche. Un luogo magico, un luogo da vedere con molti occhi, anche perché "Niente è reale. Tutto e Lecito".
Questa primavera una troupe Canadese si è recata al Forte Ardietti per effettuare delle riprese assieme all'associazione Assassin’s Creed Italia, nell'ambito di un documentario rivolto a mostrare la vastità del fandom del franchising del videogioco della Ubisoft a dieci anni dall'uscita del primo capitolo.
L'associazione composta da ragazzi e ragazze che si vestono come i personaggi del videogioco, rappresenta la parte più visibile e anche la più spettacolare di un fandom in rapida espansione e che al giorno d'oggi può affiancarsi a realtà assai più consolidate come le comunità di fan di Star Trek o Star Wars.
Assassin's Creed, il Credo dell'Assassino, parole che sembrano celare qualcosa di terrificante ma che in realtà sono il titolo di una serie di videogiochi che ha oramai 10 anni e a cui bisogna aggiungere un numero sterminato tra spin off, fumetti, e un film uscito quest'anno.
La trama è molto complicata e si dipana per diversi secoli. Narra della lotta tra il bene (gli assassini) e il male (i templari) che ha come prezzo il libero arbitrio dell'umanità. La caratteristica più innovativa, di una storia altrimenti alquanto tradizionale, è il protagonista che vive in due ere distinte, la nostra e il suo passato genetico che può essere richiamato tramite una macchina detta animus che fa rivivere i ricordi dei propri antenati. Una storia affascinante che condita con un gameplay che lascia un’estrema libertà di azione e particolareggiate ricostruzioni ambientali di città del passato come Costantinopoli, la Firenze, la Venezia rinascimentali, la Boston coloniale, la Parigi rivoluzionaria o la Londra Vittoriana, non possono che essere la ricetta di un successo.
Ma perché Forte Ardietti? L'associazione ha deciso di venire al forte proprio per le qualità che lo rendono un unico e perfetto set cinematografico, il suo essere un luogo quasi intatto, come uno scrigno racchiuso nel tempo, e la sua versatilità, che consente di potere adattare i suoi ambienti a molti usi e per molte epoche. Un luogo magico, un luogo da vedere con molti occhi, anche perché "Niente è reale. Tutto e Lecito".
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Madonna del Frassino
Video di Telechiara Produzioni-Luoghi dello spirito
A seguito dell'apparizione di una piccola statua di poco più di 14 cm, raffigurante una Madonna con in braccio il bambino Gesù, tra i rami di un albero di frassino ad un pastore della zona che aveva invocato un aiuto divino a seguito di un morso di un serpente, si decise la costruzione di una piccola cappella nel luogo del miracolo: questa venne inaugurata il 12 settembre 1510, costruita grazie alle offerte del popolo e gestita dai padri serviti. In poco tempo la cappella, che nel frattempo era passata nelle mani dei frati minori francescani, precisamente il 18 giugno 1514, diventò un punto d'incontro di numerosi fedeli i quali portavano doni votivi a seguito delle grazie ricevute: al luogo sacro fece visita, nel 1514, anche Isabella d'Este, che in una lettera al marito Francesco II Gonzaga, malato da tempo, scrisse:
«Hozi sono stata a Peschiera, smontando prima alla chiesa de la Madonna del Frassino, che si dice far tanti miraculi. Et ben ghi sono molte imagine de voti et principio di una bella chiesa. La ho pregata cordialmente per la sanità de Vostra Excellenzia.»
Si decise quindi di costruire intorno alla cappella una chiesa più grande: la posa della prima pietra avvenne il 18 giugno 1515, mentre il 14 gennaio 1518, papa Leone X concesse l'autorizzazione per la costruzione di un convento dove potessero alloggiare i monaci. Nel corso dei secoli successivi il santuario si abbellì di numerose opere d'arte e si arricchì economicamente tramite le donazioni dei fedeli: nel 1610 il semplice stile francescano fu rifinito con stucchi in stile barocco, così come fu abbellita la cappella della Madonna. Nel 1652 fu aggiunto il coro ligneo sull'altare principale, mentre nel corso del XVIII secolo fu posto l'organo. Nel 1810 a seguito dell'invasione napoleonica il santuario subì una grave battuta d'arresto: i monaci furono allontananti dal convento ed una serie di profanazioni interessarono la chiesa; nel 1848 il borgo che era sorto intorno al santuario venne completamente raso a suolo in seguito ad un bombardamento, ma la chiesa riuscì miracolosamente a rimanere intatta. In seguito il convento fu adibito ad usi civili e militari, diventando quartier generale dell'esercito piemontese e poi ospedale comunale anche fin dopo il 1860, data di riapertura riapertura della chiesa, continuando a svolgere la funzione di accoglienza per persone senza fissa dimora e anziani. Nel 1898 sia il convento che la chiesa ritornarono nelle mani dei francescani: la chiesa fu completamente restaurata con il rifacimento sia della facciatache del pavimento e si provvide al restauro delle diverse opere d'arte contenute. Nel 1929 Pio XI concesse l'incoronazione della statua della Madonna del Frassino, avvenuta poi il 24 settembre 1930. Nel 1969 fu realizzata la cappella penitenziale, di stampo moderno, ad opera dell'architetto Avesani, mentre lavori di restauro sono stati effettuati dal 1996 al 1998.
«Hozi sono stata a Peschiera, smontando prima alla chiesa de la Madonna del Frassino, che si dice far tanti miraculi. Et ben ghi sono molte imagine de voti et principio di una bella chiesa. La ho pregata cordialmente per la sanità de Vostra Excellenzia.»
Si decise quindi di costruire intorno alla cappella una chiesa più grande: la posa della prima pietra avvenne il 18 giugno 1515, mentre il 14 gennaio 1518, papa Leone X concesse l'autorizzazione per la costruzione di un convento dove potessero alloggiare i monaci. Nel corso dei secoli successivi il santuario si abbellì di numerose opere d'arte e si arricchì economicamente tramite le donazioni dei fedeli: nel 1610 il semplice stile francescano fu rifinito con stucchi in stile barocco, così come fu abbellita la cappella della Madonna. Nel 1652 fu aggiunto il coro ligneo sull'altare principale, mentre nel corso del XVIII secolo fu posto l'organo. Nel 1810 a seguito dell'invasione napoleonica il santuario subì una grave battuta d'arresto: i monaci furono allontananti dal convento ed una serie di profanazioni interessarono la chiesa; nel 1848 il borgo che era sorto intorno al santuario venne completamente raso a suolo in seguito ad un bombardamento, ma la chiesa riuscì miracolosamente a rimanere intatta. In seguito il convento fu adibito ad usi civili e militari, diventando quartier generale dell'esercito piemontese e poi ospedale comunale anche fin dopo il 1860, data di riapertura riapertura della chiesa, continuando a svolgere la funzione di accoglienza per persone senza fissa dimora e anziani. Nel 1898 sia il convento che la chiesa ritornarono nelle mani dei francescani: la chiesa fu completamente restaurata con il rifacimento sia della facciatache del pavimento e si provvide al restauro delle diverse opere d'arte contenute. Nel 1929 Pio XI concesse l'incoronazione della statua della Madonna del Frassino, avvenuta poi il 24 settembre 1930. Nel 1969 fu realizzata la cappella penitenziale, di stampo moderno, ad opera dell'architetto Avesani, mentre lavori di restauro sono stati effettuati dal 1996 al 1998.
ponti sul mincio
Ponti sul Mincio, anticamente indicato sempre e semplicemente come Ponte (Pons), compare per la prima volta sui documenti nel 1145 in un elenco delle chiese plebane della diocesi di Verona. In realtà il territorio è abitato da popolazioni già in epoca romana, come testimoniato da alcuni rinvenimenti epigrafici nella zona del castello scaligero.
Nel periodo compreso fra il 1195 e il 1275 viene costruito il castello sotto il dominio degli Scaligeri; il paese inizia la propria espansione dapprima attorno al nucleo del castello e in un secondo tempo nel territorio ai piedi della rocca, verso il fiume Mincio. Dopo la caduta scaligera ed un breve periodo sotto la dominazione dei Visconti, Ponti vien e compreso nel territorio della Serenissima Repubblica di Venezia (a partire dal 1405 e definitivamente dal 1426, sotto il doge Francesco Foscari). Il dominio veneziano si protrae sino al 1797, quando, a seguito delle guerre napoleoniche d’Italia dell’anno prima (1796), viene costituita la Repubblica Cisalpina (comprendente i territori di Mantova, Brescia, Bergamo, Bologna, Ferrara, Massa, Carrara, Crema, la Romagna e la Valtellina); Ponti viene aggregato al distretto VII di Castiglione delle Siviere, compreso nel Dipartimento del Mincio, sotto il dominio francese. Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna (e la Restaurazione), il territorio mantovano torna entro i confini dell’Impero Austro Ungarico; Ponti è compreso nel distretto IV di Volta, entrando, nel contempo, dopo secoli, a far parte della provincia di Mantova. Dopo le guerre risorgimentali e la battaglia di Solforino e San Martino (24 giugno 1859), Ponti passa sotto la provincia di Verona e nel 1866 entra a far parte del Regno d’Italia, tornando in provincia di Mantova. Con l’inizio dello stato italiano il paese assume l’attuale denominazione di Ponti sul Mincio. L’ultimo passaggio a carattere strettamente amministrativo riguarda la diocesi, la quale, nel 1977, dopo secoli, passa da Verona a Mantova, per uniformare i territori comunali alle comunità parrocchiali. Il 30 aprile del 1945 a Ponti, e precisamente in località Monte Casale, si svolge una delle ultime battaglie della lotta di Liberazione dal nazifascismo, con uno scontro tra gruppi partigiani (aiutati da militari dell’esercito regolare italiano e da truppe anglo americane) e reparti tedeschi in fuga verso le Alpi.
Nel periodo compreso fra il 1195 e il 1275 viene costruito il castello sotto il dominio degli Scaligeri; il paese inizia la propria espansione dapprima attorno al nucleo del castello e in un secondo tempo nel territorio ai piedi della rocca, verso il fiume Mincio. Dopo la caduta scaligera ed un breve periodo sotto la dominazione dei Visconti, Ponti vien e compreso nel territorio della Serenissima Repubblica di Venezia (a partire dal 1405 e definitivamente dal 1426, sotto il doge Francesco Foscari). Il dominio veneziano si protrae sino al 1797, quando, a seguito delle guerre napoleoniche d’Italia dell’anno prima (1796), viene costituita la Repubblica Cisalpina (comprendente i territori di Mantova, Brescia, Bergamo, Bologna, Ferrara, Massa, Carrara, Crema, la Romagna e la Valtellina); Ponti viene aggregato al distretto VII di Castiglione delle Siviere, compreso nel Dipartimento del Mincio, sotto il dominio francese. Nel 1815, dopo il Congresso di Vienna (e la Restaurazione), il territorio mantovano torna entro i confini dell’Impero Austro Ungarico; Ponti è compreso nel distretto IV di Volta, entrando, nel contempo, dopo secoli, a far parte della provincia di Mantova. Dopo le guerre risorgimentali e la battaglia di Solforino e San Martino (24 giugno 1859), Ponti passa sotto la provincia di Verona e nel 1866 entra a far parte del Regno d’Italia, tornando in provincia di Mantova. Con l’inizio dello stato italiano il paese assume l’attuale denominazione di Ponti sul Mincio. L’ultimo passaggio a carattere strettamente amministrativo riguarda la diocesi, la quale, nel 1977, dopo secoli, passa da Verona a Mantova, per uniformare i territori comunali alle comunità parrocchiali. Il 30 aprile del 1945 a Ponti, e precisamente in località Monte Casale, si svolge una delle ultime battaglie della lotta di Liberazione dal nazifascismo, con uno scontro tra gruppi partigiani (aiutati da militari dell’esercito regolare italiano e da truppe anglo americane) e reparti tedeschi in fuga verso le Alpi.
Il Castello Scaligero
L’edificio è un antico castello scaligero sito nel piccolo paese di Ponti sul Mincio, che apparteneva anticamente a Verona, ma attualmente rientra nel territorio di Mantova; la struttura e l’intero abitato si trovano immersi in un Parco naturale, istituito dalla Regione Lombardia nel 1984, nell’ambito della legislazione che vincola le aree protette in gran parte del territorio italiano. L’antico Maniero, storicamente compreso in un sistema di fortilizi scaligeri, è indubbiamente di origine medievale, ma sulla sua più esatta datazione esistono pareri discordanti.
Tra le varie ipotesi la più accreditata risulta quella di Gazzola; lo studioso, che per primo se ne è occupato, ritiene che il castello in questione formi un sistema con i fortilizi di Sirmione, Peschiera del Garda, Monzambano, Borghetto e Valeggio sul Mincio; esso gravita cioè nello scacchiere scaligero. Il monumento viene edificato tra il 1260 e 1276, anno in cui è citato per la prima volta nei documenti. Il Castello è appartenuto prima a Verona e successivamente a Venezia (dal secolo XV). La pianta del Castello è irregolare e dilatata in lunghezza e le mura perimetrali sono costellate complessivamente di cinque torri. 6 Una di esse è collocata all’estremità settentrionale, altre due sono ubicate lungo i fianchi, rispettivamente 5 verso il Mincio (a sud-est) e 7 verso l’abitato (a sud-ovest).
Queste tre, più che torri vere e proprie, consistono di semplici ripiegamenti verso l’esterno delle cortine, in modo da ottenere in tutti e tre i casi una pianta quadrilatera, priva però di muratura verso l’interno del recinto; le rimanenti due torri, poste agli angoli sud-est e sud-ovest del Castello, hanno pianta quadrilatera, sono completamente cinte da mura e “controllano” la visuale della altre. Sembrerebbe dunque che il castello-recinto possedesse due masti, Le due torri maggiori sono molto simili, ma non uguali; infatti, in entrambe, i quattro lati sono in struttura muraria mista: pareti in ciottoli, ed angoli ben piombati in mattoni; da un alto, tuttavia, l’attuale 2 “torre dell’orologio”, alterna semplicemente ciottoli e mattoni per mezzo di un comune giunto verticale, 4 mentre il mastio principale, posto a sud-est verso il corso del fiume Mincio, immorsa gli uni con gli altri mediante un disegno a dente di sega, al fine di impedirne il reciproco scorrimento causato da eventuali assestamenti del terreno.
Questo accorgimento appare propriamente di natura tecnica, anche se non manca di incidere sull’aspetto della torre stessa;
tale carattere è proprio, per non dire esclusivo, dell’area scaligera. La differenza induce a ritenere le due torri non contemporanee. L’intero sistema può essere ragionevolmente dipartito in due parti concettualmente distinte: la torre di sud-est; e il recinto dotato di tre torri scudate col mastio situato all’angolo sudovest. La torre di tipo scaligero è rivolta verso il Mincio – che proprio attorno ad essa disegna un’ansa – è destinata al controllo del fiume e alle campagne nelle immediate vicinanze, data la posizione particolarmente favorevole allo scopo; (si ricordi la particolare attenzione prestata dagli Scaligeri alle vie d’acqua, e si tenga presente che il castello di Ponti si trova a circa quattro chilometri dal lago di Garda). L’altra torre si affaccia invece verso l’abitato, e perciò è al servizio di questo: per avvistamenti, per segnalazioni, per ospitare il comando di presidio, e per fungere da estrema resistenza ad eventuali nemici e invasori. Per quanto riguarda la collocazione storica e la funzione di
quest’ultima torre, databile al secolo XII, esistono diverse ipotesi interpretative. Palvarini e Perogalli propendono per tre spiegazioni possibili. La prima ritiene che tale torre sia preesistente e quindi si pensa che essa sia stata annessa al castello nel momento in cui venne edificato; la seconda ipotizza che il castello-recinto, data la posizione eminentemente strategica, svolgendo sotto gli Scaligeri compiti essenzialmente militari, e diviene in un secondo tempo ricovero per la popolazione del borgo, unendo soltanto allora la torre a quattro lati volta verso il paese, funzionale a tale altro compito cioè come torre di avvistamento e di segnalazione nel momento in cui la popolazione era rifugiata al suo interno. La terza ipotesi, ritiene che il castello è stato volutamente costruito con due masti differenziati per funzione e struttura; tale supposizione risulta accreditata dalla presenza di due masti nei castelli di Volta Mantovana, Monzambano e Castiglione delle Stiviere. La porta che si apre verso il borgo è preceduta da un rivellino formato a camera, anticamente con doppia chiusura e ponte levatoio; tipologicamente la porta difesa dal mastio è un apprestamento adottato dai primi Scaligeri, mentre il rivellino ne costituisce una modifica, introdotta durante il secolo seguente, nel quadro della rifondazione del complesso delle difese della signoria iniziata con Cansignorio della Scala.
Gli Scaligeri ottengono il potere a Verona, con Mastino della Scala, nel 1260; tale data può essere perciò ritenuta quale soglia post-quam, per l’erezione della torre principale. Dal momento che è sicuramente occorso un ragionevole lasso di tempo per attuare l’organizzazione difensiva periferica dello Stato, ne deriva che la torre risale all’incirca alla metà del secolo XIII, e non prima. Le tre torri ai tre lati presentano struttura muraria a costruzione mista, simile a quella a quattro lati rivolta verso il Mincio; perciò appaiono di erezione coeva, o di poco posteriore, ma sempre di epoca scaligera.
Le cortine del Castello, nonostante siano state edificate con materiale di non particolare pregio (ciottoli), sono provviste di un camminamento superiore che costeggia la merlatura. Quest’ultima appare attualmente in cattivo stato, ma anticamente era possibile osservare i merli coperti da due strati, caratteristica questa tipica delle città merlate dell’area veronese – scaligera. Le merlature, in gran parte crollate, appaiono a capanna in tutta la cinta muraria, per quanto è possibile rilevare da quelle esistenti ed in analogia con gli altri castelli scaligeri, mentre sul rivellino è visibile un singolo merlo a coda di rondine ben conservato. Tale fatto sembra confermare l’ipotesi degli storici che il rivellino sia di costruzione successiva a quella del castello, anche se, per quanto riguarda il singolo merlo citato, si può supporre un rifacimento abbastanza recente, data la perfetta conservazione. Sulla forma degli altri merli esistono pareri differenti: il Gazzola, pur avanzando serie perplessità, ritiene che sia ghibellina. Il Paccagnini e il Boriani la considerano guelfa, mentre esiste una scheda redatta in luogo nel 1965, quando la merlatura era probabilmente meno consunta, che descrive dei merli coperti a due falde: un altro rimando all’area veronese-scaligera. Le condizioni statiche complessive della muratura e delle fondazioni, ad un’analisi visiva diretta non sembrano destare eccessive preoccupazioni, anche se si rilevano fessurazioni parziali delle murature (causate anche dalla vegetazione), piccoli franamenti sottomurari, indebolimento dei solai lignei e crolli delle volte; un piccolo franamento murario è stato registrato alla base della strada sopraelevata d’acceso al rivellino, all’interno della proprietà parrocchiale, e in gran parte riparato con rinforzi di pietrame cementato posati dal Genio Civile. Non esistono, nondimeno, nelle murature gravi lesioni, crepe o franamenti tali da compromettere la staticità sostanziale; le alterazioni riguardano singole parti tecniche o forme parziali della struttura del castello. Le merlature hanno perso la loro forma, riducendosi spesso a cumuli di pietrame senza spigoli di sorta, scomparendo in molte parti; i camminamenti sono quasi completamente scomparsi, nella parte in mattoni a sbalzo oltre il filo dei muri, mentre rimangono, anche se impraticabili e diroccati, nella parte in spessore verso il muro; attualmente il rivellino e il mastio non sono accessibili, perché in fase di ristrutturazione.
Tra le varie ipotesi la più accreditata risulta quella di Gazzola; lo studioso, che per primo se ne è occupato, ritiene che il castello in questione formi un sistema con i fortilizi di Sirmione, Peschiera del Garda, Monzambano, Borghetto e Valeggio sul Mincio; esso gravita cioè nello scacchiere scaligero. Il monumento viene edificato tra il 1260 e 1276, anno in cui è citato per la prima volta nei documenti. Il Castello è appartenuto prima a Verona e successivamente a Venezia (dal secolo XV). La pianta del Castello è irregolare e dilatata in lunghezza e le mura perimetrali sono costellate complessivamente di cinque torri. 6 Una di esse è collocata all’estremità settentrionale, altre due sono ubicate lungo i fianchi, rispettivamente 5 verso il Mincio (a sud-est) e 7 verso l’abitato (a sud-ovest).
Queste tre, più che torri vere e proprie, consistono di semplici ripiegamenti verso l’esterno delle cortine, in modo da ottenere in tutti e tre i casi una pianta quadrilatera, priva però di muratura verso l’interno del recinto; le rimanenti due torri, poste agli angoli sud-est e sud-ovest del Castello, hanno pianta quadrilatera, sono completamente cinte da mura e “controllano” la visuale della altre. Sembrerebbe dunque che il castello-recinto possedesse due masti, Le due torri maggiori sono molto simili, ma non uguali; infatti, in entrambe, i quattro lati sono in struttura muraria mista: pareti in ciottoli, ed angoli ben piombati in mattoni; da un alto, tuttavia, l’attuale 2 “torre dell’orologio”, alterna semplicemente ciottoli e mattoni per mezzo di un comune giunto verticale, 4 mentre il mastio principale, posto a sud-est verso il corso del fiume Mincio, immorsa gli uni con gli altri mediante un disegno a dente di sega, al fine di impedirne il reciproco scorrimento causato da eventuali assestamenti del terreno.
Questo accorgimento appare propriamente di natura tecnica, anche se non manca di incidere sull’aspetto della torre stessa;
tale carattere è proprio, per non dire esclusivo, dell’area scaligera. La differenza induce a ritenere le due torri non contemporanee. L’intero sistema può essere ragionevolmente dipartito in due parti concettualmente distinte: la torre di sud-est; e il recinto dotato di tre torri scudate col mastio situato all’angolo sudovest. La torre di tipo scaligero è rivolta verso il Mincio – che proprio attorno ad essa disegna un’ansa – è destinata al controllo del fiume e alle campagne nelle immediate vicinanze, data la posizione particolarmente favorevole allo scopo; (si ricordi la particolare attenzione prestata dagli Scaligeri alle vie d’acqua, e si tenga presente che il castello di Ponti si trova a circa quattro chilometri dal lago di Garda). L’altra torre si affaccia invece verso l’abitato, e perciò è al servizio di questo: per avvistamenti, per segnalazioni, per ospitare il comando di presidio, e per fungere da estrema resistenza ad eventuali nemici e invasori. Per quanto riguarda la collocazione storica e la funzione di
quest’ultima torre, databile al secolo XII, esistono diverse ipotesi interpretative. Palvarini e Perogalli propendono per tre spiegazioni possibili. La prima ritiene che tale torre sia preesistente e quindi si pensa che essa sia stata annessa al castello nel momento in cui venne edificato; la seconda ipotizza che il castello-recinto, data la posizione eminentemente strategica, svolgendo sotto gli Scaligeri compiti essenzialmente militari, e diviene in un secondo tempo ricovero per la popolazione del borgo, unendo soltanto allora la torre a quattro lati volta verso il paese, funzionale a tale altro compito cioè come torre di avvistamento e di segnalazione nel momento in cui la popolazione era rifugiata al suo interno. La terza ipotesi, ritiene che il castello è stato volutamente costruito con due masti differenziati per funzione e struttura; tale supposizione risulta accreditata dalla presenza di due masti nei castelli di Volta Mantovana, Monzambano e Castiglione delle Stiviere. La porta che si apre verso il borgo è preceduta da un rivellino formato a camera, anticamente con doppia chiusura e ponte levatoio; tipologicamente la porta difesa dal mastio è un apprestamento adottato dai primi Scaligeri, mentre il rivellino ne costituisce una modifica, introdotta durante il secolo seguente, nel quadro della rifondazione del complesso delle difese della signoria iniziata con Cansignorio della Scala.
Gli Scaligeri ottengono il potere a Verona, con Mastino della Scala, nel 1260; tale data può essere perciò ritenuta quale soglia post-quam, per l’erezione della torre principale. Dal momento che è sicuramente occorso un ragionevole lasso di tempo per attuare l’organizzazione difensiva periferica dello Stato, ne deriva che la torre risale all’incirca alla metà del secolo XIII, e non prima. Le tre torri ai tre lati presentano struttura muraria a costruzione mista, simile a quella a quattro lati rivolta verso il Mincio; perciò appaiono di erezione coeva, o di poco posteriore, ma sempre di epoca scaligera.
Le cortine del Castello, nonostante siano state edificate con materiale di non particolare pregio (ciottoli), sono provviste di un camminamento superiore che costeggia la merlatura. Quest’ultima appare attualmente in cattivo stato, ma anticamente era possibile osservare i merli coperti da due strati, caratteristica questa tipica delle città merlate dell’area veronese – scaligera. Le merlature, in gran parte crollate, appaiono a capanna in tutta la cinta muraria, per quanto è possibile rilevare da quelle esistenti ed in analogia con gli altri castelli scaligeri, mentre sul rivellino è visibile un singolo merlo a coda di rondine ben conservato. Tale fatto sembra confermare l’ipotesi degli storici che il rivellino sia di costruzione successiva a quella del castello, anche se, per quanto riguarda il singolo merlo citato, si può supporre un rifacimento abbastanza recente, data la perfetta conservazione. Sulla forma degli altri merli esistono pareri differenti: il Gazzola, pur avanzando serie perplessità, ritiene che sia ghibellina. Il Paccagnini e il Boriani la considerano guelfa, mentre esiste una scheda redatta in luogo nel 1965, quando la merlatura era probabilmente meno consunta, che descrive dei merli coperti a due falde: un altro rimando all’area veronese-scaligera. Le condizioni statiche complessive della muratura e delle fondazioni, ad un’analisi visiva diretta non sembrano destare eccessive preoccupazioni, anche se si rilevano fessurazioni parziali delle murature (causate anche dalla vegetazione), piccoli franamenti sottomurari, indebolimento dei solai lignei e crolli delle volte; un piccolo franamento murario è stato registrato alla base della strada sopraelevata d’acceso al rivellino, all’interno della proprietà parrocchiale, e in gran parte riparato con rinforzi di pietrame cementato posati dal Genio Civile. Non esistono, nondimeno, nelle murature gravi lesioni, crepe o franamenti tali da compromettere la staticità sostanziale; le alterazioni riguardano singole parti tecniche o forme parziali della struttura del castello. Le merlature hanno perso la loro forma, riducendosi spesso a cumuli di pietrame senza spigoli di sorta, scomparendo in molte parti; i camminamenti sono quasi completamente scomparsi, nella parte in mattoni a sbalzo oltre il filo dei muri, mentre rimangono, anche se impraticabili e diroccati, nella parte in spessore verso il muro; attualmente il rivellino e il mastio non sono accessibili, perché in fase di ristrutturazione.