Escursione piacevole e senza difficoltà che si svolge nel bellissimo ambiente del gruppo montuoso della Marmolada. Partenza da Pian Trevisan e giro ad anello con la possibilità di raggiungere il rifugio Pian dei Fiacconi. Itinerario con notevoli spunti paesaggistici e storici.
Dislivello: 800 m sino al Col de Bousc; 1000 m sino al rifugio
Parcheggiamo il pullman nel parcheggio dell'hotel villetta Maria e prendiamo subito il sentiero 619 che sale per la vecchia e bellissima mulattiera militare austriaca della Grande Guerra, realizzata dai prigionieri russi, con muri a secco e grosse massicciate nei tornanti. Si arrampica con larghi zig zag con pendenza costante su un grande spallone roccioso, percorrendo anche alcune cenge un po’ esposte. Circa a metà c’è una grossa targa dell’epoca degli artefici della spettacolare mulattiera. Rimontata la grossa dorsale la mulattiera spiana in una radura, il Pian de Scalet m 2032, dove c’era un accampamento militare dove arrivava una teleferica da pian Trevisan. Proseguiamo, ognuno col proprio passo ed io che mi attardo per scattare foto al maestoso panorama davanti ai miei occhi e in breve siamo a Ciamorciaa (camosciaia in ladino), un valloncello con un piccolo torrente. Poco sopra una (brutta) briglia che convoglia l’acqua tramite i canali di gronda che vanno alla diga, si apre una meraviglia naturale: le Marmitte di Ciamorciaa, un fenomeno erosivo creato dall’acqua del ghiacciaio che ha scavato nel calcare un piccolo ma lungo canyon punteggiato di pozze d’acqua limpidissima come cristallo. Costeggiamo a lungo le marmitte, che sono a pochi metri dal sentiero, in alcuni tratti sono profonde anche 7-8 metri e bisogna sporgersi con prudenza: sul fondo tra una pozza e l’altra e scivoli d’acqua, scorre un piccolo rio che gorgoglia tra le rocce. Bellissimo. Giunti a un colossale macigno le marmitte si esauriscono, la mulattiera fa una decisa svolta verso est, dove ci sono i resti di un altro grande accampamento militare con una piccola fontanella con l'acqua che sgorga dalla roccia: anche qui arrivava una teleferica da Pian Trevisan, che poi si diramava per il Gran Poz più in basso e verso il Col de Bousc in alto. Nella grande depressione del Gran Poz c’era un grosso acquartieramento militare, che nel 1916 fu travolto da una enorme slavina che fece 300 morti. Proseguiamo per il sentiero 619 in uno scenario epico, con la gigantesca Roda del Mulon 2883 a ovest, le cime della Marmolada verso sud. A monte del Col dele Baranchie il sentiero si biforca, un ramo scende verso il Gran Poz, noi prendiamo quello alto che con un traversone su roccia attraversa dei magnifici paesaggi glaciali con una vasta placconata rocciosa con tratti di sentiero attrezzato (facili). Sono finalmente alla base del Col de Bousc, coi ruderi delle fortificazioni militari. Da qui partiva l’ultimo tratto della teleferica che riforniva i trinceramenti in quota e soprattutto gli approvvigionamenti della incredibile “Città di Ghiaccio” scavata nelle viscere del ghiacciaio fino sotto Serauta e Cima Rocca. Saliamo per un'altra mezz'ora per raggiungere il Rifugio Pian dei Fiacconi (2626), che un tempo era alla base del ghiacciaio ed ora solo un punto di osservazione e di partenza per chi lo volesse risalire. Torniamo alla Selletta dopo una meritata sosta al Rifugio, comprensiva di birretta, e scendiamo poi per il sentiero 618 fino ad arrivare al lago di Fedaia che avevamo ammirato già dall'alto. Il gruppo prosegue lungo la diga ma io, anticipando gli altri prendo per sbaglio il sentiero 618. Nessuna paura, il mio gps mi conferma che i due sentieri si ricongiungeranno qualche centinaio di metri sotto e così attendo il gruppo a quota 1850 per affrontare il resto della discesa che ci riporta al Villetta Maria ed al Pullman.
Dislivello: 800 m sino al Col de Bousc; 1000 m sino al rifugio
Parcheggiamo il pullman nel parcheggio dell'hotel villetta Maria e prendiamo subito il sentiero 619 che sale per la vecchia e bellissima mulattiera militare austriaca della Grande Guerra, realizzata dai prigionieri russi, con muri a secco e grosse massicciate nei tornanti. Si arrampica con larghi zig zag con pendenza costante su un grande spallone roccioso, percorrendo anche alcune cenge un po’ esposte. Circa a metà c’è una grossa targa dell’epoca degli artefici della spettacolare mulattiera. Rimontata la grossa dorsale la mulattiera spiana in una radura, il Pian de Scalet m 2032, dove c’era un accampamento militare dove arrivava una teleferica da pian Trevisan. Proseguiamo, ognuno col proprio passo ed io che mi attardo per scattare foto al maestoso panorama davanti ai miei occhi e in breve siamo a Ciamorciaa (camosciaia in ladino), un valloncello con un piccolo torrente. Poco sopra una (brutta) briglia che convoglia l’acqua tramite i canali di gronda che vanno alla diga, si apre una meraviglia naturale: le Marmitte di Ciamorciaa, un fenomeno erosivo creato dall’acqua del ghiacciaio che ha scavato nel calcare un piccolo ma lungo canyon punteggiato di pozze d’acqua limpidissima come cristallo. Costeggiamo a lungo le marmitte, che sono a pochi metri dal sentiero, in alcuni tratti sono profonde anche 7-8 metri e bisogna sporgersi con prudenza: sul fondo tra una pozza e l’altra e scivoli d’acqua, scorre un piccolo rio che gorgoglia tra le rocce. Bellissimo. Giunti a un colossale macigno le marmitte si esauriscono, la mulattiera fa una decisa svolta verso est, dove ci sono i resti di un altro grande accampamento militare con una piccola fontanella con l'acqua che sgorga dalla roccia: anche qui arrivava una teleferica da Pian Trevisan, che poi si diramava per il Gran Poz più in basso e verso il Col de Bousc in alto. Nella grande depressione del Gran Poz c’era un grosso acquartieramento militare, che nel 1916 fu travolto da una enorme slavina che fece 300 morti. Proseguiamo per il sentiero 619 in uno scenario epico, con la gigantesca Roda del Mulon 2883 a ovest, le cime della Marmolada verso sud. A monte del Col dele Baranchie il sentiero si biforca, un ramo scende verso il Gran Poz, noi prendiamo quello alto che con un traversone su roccia attraversa dei magnifici paesaggi glaciali con una vasta placconata rocciosa con tratti di sentiero attrezzato (facili). Sono finalmente alla base del Col de Bousc, coi ruderi delle fortificazioni militari. Da qui partiva l’ultimo tratto della teleferica che riforniva i trinceramenti in quota e soprattutto gli approvvigionamenti della incredibile “Città di Ghiaccio” scavata nelle viscere del ghiacciaio fino sotto Serauta e Cima Rocca. Saliamo per un'altra mezz'ora per raggiungere il Rifugio Pian dei Fiacconi (2626), che un tempo era alla base del ghiacciaio ed ora solo un punto di osservazione e di partenza per chi lo volesse risalire. Torniamo alla Selletta dopo una meritata sosta al Rifugio, comprensiva di birretta, e scendiamo poi per il sentiero 618 fino ad arrivare al lago di Fedaia che avevamo ammirato già dall'alto. Il gruppo prosegue lungo la diga ma io, anticipando gli altri prendo per sbaglio il sentiero 618. Nessuna paura, il mio gps mi conferma che i due sentieri si ricongiungeranno qualche centinaio di metri sotto e così attendo il gruppo a quota 1850 per affrontare il resto della discesa che ci riporta al Villetta Maria ed al Pullman.
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La Città di Ghiaccio, 12 km di tunnel intervallati da caverne adibite a dormitori, cucine, infermerie, sale radio, cappella, mense, scavati nel ventre del ghiacciaio della Marmolada che in alcuni punti superava i 50 metri di spessore. Non risultava fossero mai state scavate gallerie nel ghiaccio, non esisteva documentazione scientifica su strumenti, tecniche e materiali. Procedendo per prove e tentativi, i soldati delle truppe alpine austro-ungariche sperimentarono i diversi tipi di esplosivi a loro disposizione, per dare vita a quella che è risultata un’opera più unica che rara per epoca e contesto.
La Grande Guerra aveva oramai travolto la Marmolada intera. Postazione strategica per eccellenza era Forcella Vu, di occupazione austro-ungarica, posta al culmine del ghiacciaio, direttamente collegata al Fortilizio imperiale di Quota 3153.
Postazione difficile da mantenere visti i ripetuti attacchi delle truppe italiane, che occupavano la troppo vicina Punta Serauta, faticosamente trasformata in un Fortilizio di camminamenti, trincee e caverne. Da quella posizione, l’artiglieria italiana batteva senza sosta la soprastante Forcella Vu e ne controllava giorno e notte il ghiacciaio antistante, impedendone quasi i rifornimenti. Le colonne di portatori non potevano che attraversare il ghiacciaio in superficie per portare viveri e munizioni in forcella, ma erano costretti per lo più ad interminabili ore d’attesa nascosti nei crepacci o addirittura a tornare sui propri passi se sorpresi da bufere e valanghe.
Fu così che nell’estate del 1916 al ten. Leo Handl balenò l’idea di sfruttare il ventre del ghiacciaio, perforandolo da parte a parte per raggiungere le postazioni più a monte ed esposte nascosti al fuoco nemico. Visti i numerosi vantaggi che comportava stare nascosti sotto la superficie del ghiaccio, nel giro di 10 mesi il tunnel originale venne diramato in un totale di 12 km di perforazioni che univano tutte le postazioni austriache della zona, che servivano oramai più che altro come postazioni di guardia, essendo stati trasferiti in apposite caverne sotto il ghiaccio anche tutti i dormitori, le cucine le infermerie. Fino a 200 soldati potevano vivere indisturbati sotto il manto bianco della Marmolada, fino allora tanto temuto.
Oggi ne resta ben poco. Con l’abbandono delle gallerie dopo lo sfondamento di Caporetto e lo spostamento del fronte e la conseguente mancata manutenzione, tutto è crollato, si è spostato, sciolto e riformato. Il ghiacciaio è un corpo vivo che si fa e si disfa di stagione in stagione, rimescolando tutti i reperti lasciati dai soldati, che puntualmente con lo scioglimento progressivo riaffiorano in superficie.
Tutta l’area della Marmolada porta ancora i segni del tragico conflitto e delle sue tragiche esistenze.
La Grande Guerra aveva oramai travolto la Marmolada intera. Postazione strategica per eccellenza era Forcella Vu, di occupazione austro-ungarica, posta al culmine del ghiacciaio, direttamente collegata al Fortilizio imperiale di Quota 3153.
Postazione difficile da mantenere visti i ripetuti attacchi delle truppe italiane, che occupavano la troppo vicina Punta Serauta, faticosamente trasformata in un Fortilizio di camminamenti, trincee e caverne. Da quella posizione, l’artiglieria italiana batteva senza sosta la soprastante Forcella Vu e ne controllava giorno e notte il ghiacciaio antistante, impedendone quasi i rifornimenti. Le colonne di portatori non potevano che attraversare il ghiacciaio in superficie per portare viveri e munizioni in forcella, ma erano costretti per lo più ad interminabili ore d’attesa nascosti nei crepacci o addirittura a tornare sui propri passi se sorpresi da bufere e valanghe.
Fu così che nell’estate del 1916 al ten. Leo Handl balenò l’idea di sfruttare il ventre del ghiacciaio, perforandolo da parte a parte per raggiungere le postazioni più a monte ed esposte nascosti al fuoco nemico. Visti i numerosi vantaggi che comportava stare nascosti sotto la superficie del ghiaccio, nel giro di 10 mesi il tunnel originale venne diramato in un totale di 12 km di perforazioni che univano tutte le postazioni austriache della zona, che servivano oramai più che altro come postazioni di guardia, essendo stati trasferiti in apposite caverne sotto il ghiaccio anche tutti i dormitori, le cucine le infermerie. Fino a 200 soldati potevano vivere indisturbati sotto il manto bianco della Marmolada, fino allora tanto temuto.
Oggi ne resta ben poco. Con l’abbandono delle gallerie dopo lo sfondamento di Caporetto e lo spostamento del fronte e la conseguente mancata manutenzione, tutto è crollato, si è spostato, sciolto e riformato. Il ghiacciaio è un corpo vivo che si fa e si disfa di stagione in stagione, rimescolando tutti i reperti lasciati dai soldati, che puntualmente con lo scioglimento progressivo riaffiorano in superficie.
Tutta l’area della Marmolada porta ancora i segni del tragico conflitto e delle sue tragiche esistenze.