Numerosi eventi bellici della Grande Guerra in Trentino ebbero come scenario proprio il monte Pasubio. Prima del conflitto la maggior parte del Massiccio apparteneva all’Austria-Ungheria; infatti, dopo il 1866, in seguito alla terza guerra d’indipendenza, il Veneto passò al Regno d’Italia mentre il Trentino rimase all’Impero austro-ungarico. Il confine di Stato fu posto al Pian delle Fugazze e al Passo della Borcola. Dopo l’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, nel quale fu assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo,gli eventi precipitarono e l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia. Per le popolazioni trentine la mobilitazione generale iniziò alla fine di luglio 1914. Con il decreto dell’imperatore Francesco Giuseppe anche numerosi giovani delle valli del Leno e del territorio pasubiano furono chiamati alle armi e mandati a combattere sul fronte russo, in Galizia. Ben presto neppure la popolazione civile fu risparmiata dalla tragedia della guerra; gli abitanti di Terragnolo, Trambileno e Vallarsa dovettero lasciare la propria terra, le case, gli affetti e migrare nei campi profughi dell’Austria inferiore e superiore, a Braunau, Mitterndorf, in Boemia e in Moravia, nelle cosiddette “città di legno”. L’esodo fu lungo e doloroso e altissimo risultò il prezzo pagato alla guerra.L’evento bellico era nell’aria da tempo, preannunciato dalla costruzione, sia da parte austriaca che italiana, di fortificazioni e sbarramenti stradali lungo il confine. L’Austria-Ungheria aveva intenzione di far assumere al Pasubio la funzione di proprio baluardo difensivo: l’alta valle di Terragnolo era stata messa sotto la protezione delle bocche da fuoco del forte Dosso delle Somme, la Vallarsa era quasi chiusa dal forte Pozzacchio e dal trinceramento di Matassone, mentre sullo Zugna si stava costruendo un’altra fortificazione quale sbarramento verso il Pian delle Fugazze e il Passo di Campogrosso. L’Esercito italiano, di là dal confine, controllava il versante vicentino del Massiccio e se gli imperiali avessero occupato anche questa parte del Pasubio, avrebbero avuto aperta la strada verso la pianura veneta.
Fin dall’alba del 24 maggio 1915 le truppe italiane ebbero l’ordine di varcare il confine di Stato: in breve il Pasubio fu occupato senza incontrare decisive resistenze. I primi a entrare in territorio nemico furono gli alpini del battaglione Vicenza, della Prima armata; il giorno successivo, altri reparti alpini si impadronirono del Col Santo. La Prima armata, destinata ad operare in Trentino, non aveva compiti offensivi; era inizialmente comandata dal generale Roberto Brusati, sostituito a partire da maggio 1916 dal generale Guglielmo Pecori Giraldi.
L’azione da parte italiana nel 1915 fu rapida e si spinse lungo la Vallarsa: a sorpresa furono occupati nei primi giorni di giugno i forti di Matassone e Pozzacchio, mentre la reazione austriaca fu debole, poiché il Comando Supremo imperiale si proponeva di difendere il Trentino con le poche forze disponibili e con il minor danno possibile, in termini di uomini e territorio. Le perdite furono limitate in entrambe le parti.
Poco meno di un anno più tardi, il 15 maggio 1916, lo Stato Maggiore imperiale sferrò sul fronte trentino l’offensiva conosciuta con il nome “Strafexpedition”; l’operazione era stata a lungo pianificata dal generale Conrad von Hoetzendorf, con l’obiettivo di alleggerire il fronte dell’Isonzo e la speranza di sfondare nella pianura veneta per prendere alle spalle l’Esercito italiano, impegnato con il grosso delle sue forze sul fronte orientale, lungo il fiume Isonzo e sul Carso. Nonostante che fin da febbraio 1916 i Comandi italiani fossero a conoscenza dell’imminente offensiva, ne sottovalutarono la portata e concessero rinforzi assai limitati su questo tratto di fronte. Vi furono combattimenti particolarmente violenti, nei quali gli austriaci ebbero inizialmente la meglio per superiorità numerica e per armamenti, tanto che il 19 maggio venne conquistato il Col Santo, e in seguito il Corno di Vallarsa, il monte Roite, l’Alpe Pozza e l’intera Alpe di Cosmagnon.
Solamente dopo che il veemente attacco imperiale del 2 luglio in zona Sette Croci fu respinto dai reparti italiani con enormi perdite, i Comandi austriaci si convinsero dell’impossibilità di sfondare il fronte pasubiano e si trincerarono saldamente su una linea che si appoggiava sul Dente Austriaco, punto più avanzato del loro schieramento.
Poco dopo ebbe luogo la controffensiva italiana. I reparti del Regio Esercito riuscirono a recuperare solo qualche lembo di terreno perduto, arrivando fin sulla linea di Forte Pozzacchio, saldamente in mano avversaria.
In quei giorni si colloca anche l’episodio della cattura degli irredentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi. Nella notte sul 10 luglio 1916 gli alpini del battaglione Vicenzacon un’audace azione conquistarono la Selletta e il monte Corno di Vallarsa e, poco dopo,pur non vedendo giungere i preannunciati rinforzi, si lanciarono da soli all’attacco della munitissima Quota 1801. I soldati italiani furono respinti e contrattaccati, dovettero abbandonare la loro posizione, ma furono circondati e quindi catturati. Del gruppo di prigionieri facevano parte anche Cesare Battisti e Fabio Filzi, oltre al capitano Ugo Modena e al maggiore Carlo Frattola, comandante del battaglione. Battisti e Filzi, subito riconosciuti, furono condotti assieme agli altri a malga Zocchi, sede del comando austriaco; da qui, separati dai compagni, furono portati al Castello del Buonconsiglio di Trento, processati, condannati a morte per alto tradimento e impiccati nel fossato del castello il 12 luglio. Da allora il monte si chiamò Corno Battisti.
Alla fine dei combattimenti fu chiaro ad entrambi i contendenti che il Pasubio costituiva il cardine del fronte fra l’Adige e l’altopiano di Asiago e quindi bisognava tenerlo ad ogni costo. E, proprio per rientrare in possesso di tutto il Massiccio, nei mesi di settembre e ottobre 1916, la 44adivisione italiana sferrò contro la linea nemica del Pasubio una possente offensiva, al termine della quale i reparti italiani riuscirono ad impadronirsi dell’Alpe di Cosmagnon, ma non del Dente Austriaco e del Roite, tenuti dall’avversario a prezzo di ingenti sacrifici. In meno di quindici giorni di battaglia le perdite umane furono enormi: circa undicimila combattenti, tra morti, feriti e dispersi costituirono il tragico bilancio tra le fila dei fanti, alpini e kaiserjager sul Pasubio. Da allora, e fino alla conclusione delle ostilità, le opposte linee di difesa non subirono sostanziali variazioni.
Dal 20 ottobre iniziò a nevicare e un alto strato nevoso ricoprì il Massiccio fino all’estate successiva, costringendo i combattenti a vivere in gallerie sotto la neve, sotto l’incubo delle frequenti valanghe e con temperature rigidissime.
Nel 1917 e nel 1918 non vi furono grandi combattimenti sul Pasubio: i contendenti furono seriamente impegnati nella costruzione di opere difensive, soprattutto caverne, che potevano ospitare centinaia di soldati al riparo dal tiro delle artiglierie avversarie.
Sulla parte sommitale italiani e austriaci si fronteggiarono su due speroni rocciosi separati da una selletta, i Denti, all’interno dei quali ricavarono delle vere e proprie fortezze, protette da mitragliatrici e da artiglieria, e forniti di viveri e acqua. Sotto queste imprendibili postazioni, tra settembre 1917 e marzo 1918, si combatté la guerra di mine, uno scontro sotterraneo inteso a demolire la parte avversaria facendola saltare per aria.
Dieci terribili esplosioni, cinque italiane e altrettante austriache, modificarono il profilo del Dente Italiano e della Selletta, causando ingenti perdite tra entrambe le parti, ma senza raggiungere i risultati sperati dai contendenti.
Il 13 maggio 1918 gli italiani si impadronirono del Corno Battisti con un’ardita azione di sorpresa, respingendo in seguito ogni tentativo avversario di riconquistare la contesa posizione.
La guerra sul monte Pasubio ebbe termine nella notte sul 2 novembre 1918 quando i reggimenti kaiserjager che presidiavano il Massiccio abbandonarono le loro posizioni, mentre i reparti italiani della 1aarmata iniziavano l’avanzata su Trento.
Il 4 novembre, il celebre bollettino di guerra n° 1268, firmato dal generale Armando Diaz, annunciava la vittoria italiana e la fine delle ostilità.
Fin dall’alba del 24 maggio 1915 le truppe italiane ebbero l’ordine di varcare il confine di Stato: in breve il Pasubio fu occupato senza incontrare decisive resistenze. I primi a entrare in territorio nemico furono gli alpini del battaglione Vicenza, della Prima armata; il giorno successivo, altri reparti alpini si impadronirono del Col Santo. La Prima armata, destinata ad operare in Trentino, non aveva compiti offensivi; era inizialmente comandata dal generale Roberto Brusati, sostituito a partire da maggio 1916 dal generale Guglielmo Pecori Giraldi.
L’azione da parte italiana nel 1915 fu rapida e si spinse lungo la Vallarsa: a sorpresa furono occupati nei primi giorni di giugno i forti di Matassone e Pozzacchio, mentre la reazione austriaca fu debole, poiché il Comando Supremo imperiale si proponeva di difendere il Trentino con le poche forze disponibili e con il minor danno possibile, in termini di uomini e territorio. Le perdite furono limitate in entrambe le parti.
Poco meno di un anno più tardi, il 15 maggio 1916, lo Stato Maggiore imperiale sferrò sul fronte trentino l’offensiva conosciuta con il nome “Strafexpedition”; l’operazione era stata a lungo pianificata dal generale Conrad von Hoetzendorf, con l’obiettivo di alleggerire il fronte dell’Isonzo e la speranza di sfondare nella pianura veneta per prendere alle spalle l’Esercito italiano, impegnato con il grosso delle sue forze sul fronte orientale, lungo il fiume Isonzo e sul Carso. Nonostante che fin da febbraio 1916 i Comandi italiani fossero a conoscenza dell’imminente offensiva, ne sottovalutarono la portata e concessero rinforzi assai limitati su questo tratto di fronte. Vi furono combattimenti particolarmente violenti, nei quali gli austriaci ebbero inizialmente la meglio per superiorità numerica e per armamenti, tanto che il 19 maggio venne conquistato il Col Santo, e in seguito il Corno di Vallarsa, il monte Roite, l’Alpe Pozza e l’intera Alpe di Cosmagnon.
Solamente dopo che il veemente attacco imperiale del 2 luglio in zona Sette Croci fu respinto dai reparti italiani con enormi perdite, i Comandi austriaci si convinsero dell’impossibilità di sfondare il fronte pasubiano e si trincerarono saldamente su una linea che si appoggiava sul Dente Austriaco, punto più avanzato del loro schieramento.
Poco dopo ebbe luogo la controffensiva italiana. I reparti del Regio Esercito riuscirono a recuperare solo qualche lembo di terreno perduto, arrivando fin sulla linea di Forte Pozzacchio, saldamente in mano avversaria.
In quei giorni si colloca anche l’episodio della cattura degli irredentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi. Nella notte sul 10 luglio 1916 gli alpini del battaglione Vicenzacon un’audace azione conquistarono la Selletta e il monte Corno di Vallarsa e, poco dopo,pur non vedendo giungere i preannunciati rinforzi, si lanciarono da soli all’attacco della munitissima Quota 1801. I soldati italiani furono respinti e contrattaccati, dovettero abbandonare la loro posizione, ma furono circondati e quindi catturati. Del gruppo di prigionieri facevano parte anche Cesare Battisti e Fabio Filzi, oltre al capitano Ugo Modena e al maggiore Carlo Frattola, comandante del battaglione. Battisti e Filzi, subito riconosciuti, furono condotti assieme agli altri a malga Zocchi, sede del comando austriaco; da qui, separati dai compagni, furono portati al Castello del Buonconsiglio di Trento, processati, condannati a morte per alto tradimento e impiccati nel fossato del castello il 12 luglio. Da allora il monte si chiamò Corno Battisti.
Alla fine dei combattimenti fu chiaro ad entrambi i contendenti che il Pasubio costituiva il cardine del fronte fra l’Adige e l’altopiano di Asiago e quindi bisognava tenerlo ad ogni costo. E, proprio per rientrare in possesso di tutto il Massiccio, nei mesi di settembre e ottobre 1916, la 44adivisione italiana sferrò contro la linea nemica del Pasubio una possente offensiva, al termine della quale i reparti italiani riuscirono ad impadronirsi dell’Alpe di Cosmagnon, ma non del Dente Austriaco e del Roite, tenuti dall’avversario a prezzo di ingenti sacrifici. In meno di quindici giorni di battaglia le perdite umane furono enormi: circa undicimila combattenti, tra morti, feriti e dispersi costituirono il tragico bilancio tra le fila dei fanti, alpini e kaiserjager sul Pasubio. Da allora, e fino alla conclusione delle ostilità, le opposte linee di difesa non subirono sostanziali variazioni.
Dal 20 ottobre iniziò a nevicare e un alto strato nevoso ricoprì il Massiccio fino all’estate successiva, costringendo i combattenti a vivere in gallerie sotto la neve, sotto l’incubo delle frequenti valanghe e con temperature rigidissime.
Nel 1917 e nel 1918 non vi furono grandi combattimenti sul Pasubio: i contendenti furono seriamente impegnati nella costruzione di opere difensive, soprattutto caverne, che potevano ospitare centinaia di soldati al riparo dal tiro delle artiglierie avversarie.
Sulla parte sommitale italiani e austriaci si fronteggiarono su due speroni rocciosi separati da una selletta, i Denti, all’interno dei quali ricavarono delle vere e proprie fortezze, protette da mitragliatrici e da artiglieria, e forniti di viveri e acqua. Sotto queste imprendibili postazioni, tra settembre 1917 e marzo 1918, si combatté la guerra di mine, uno scontro sotterraneo inteso a demolire la parte avversaria facendola saltare per aria.
Dieci terribili esplosioni, cinque italiane e altrettante austriache, modificarono il profilo del Dente Italiano e della Selletta, causando ingenti perdite tra entrambe le parti, ma senza raggiungere i risultati sperati dai contendenti.
Il 13 maggio 1918 gli italiani si impadronirono del Corno Battisti con un’ardita azione di sorpresa, respingendo in seguito ogni tentativo avversario di riconquistare la contesa posizione.
La guerra sul monte Pasubio ebbe termine nella notte sul 2 novembre 1918 quando i reggimenti kaiserjager che presidiavano il Massiccio abbandonarono le loro posizioni, mentre i reparti italiani della 1aarmata iniziavano l’avanzata su Trento.
Il 4 novembre, il celebre bollettino di guerra n° 1268, firmato dal generale Armando Diaz, annunciava la vittoria italiana e la fine delle ostilità.
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Il Pasubio, un grande ammasso roccioso frastagliato con prati, conifere e altra vegetazione, fonti d'acqua rade che servono alle numerose mandrie e greggi quivi presenti. Un viaggio nel tempo dunque, anche in quello dell'uomo. Solo 100 anni fa in queste desolate contrade ed aspri sentieri gli uomini armarono la montagna e si armarono per nuocere gli uni agli altri nel primo grande massacro del Novecento. Partendo dal ricordo, il piccolo cimitero di guerra austro-ungarico ripristinato dagli alpini di Rovereto(il parcheggio è qualche decina di metri più sotto. Altri ve ne sono salendo verso il masso dell'Alpe Pozza), ci avviamo sulla comoda, a tratti dissestata, strada forestale che porta (divieto per chi non ci lavora o abita) dritto al Rifugio Lancia (nostra meta per il pranzo, sempre ottimo) e oltre. Dopo vari zig-zag e tagli tramite corte o lunghe scorciatoie arriviamo, gps alla mano in quanto non segnato, ad una ulteriore curva da cui però si stacca sulla sinistra un sentierino appena rintracciabile all'occhio. Tale sentiero sale, anch'esso a zig zag, in maniera ripida e costante fino a sbucare in un vasto pianoro erboso, costellato di casupole in pietra più o meno rustiche e con accessori.
Tra queste quella di un noto frequentatore di sale da ballo (e letti) dell'Alto Garda (ndr). Lasciamo tali casupole al calor del sole già alto in cielo e risaliamo il pendio del Dosso denominato dell'Anziana fino alla Selletta omonima e ci arrampichiamo ancora per una mezzorata per il sentiero nell'erba che risale il col Santo (2112 m.), prima metà provvisoria della giornata. Da qui proseguiamo per arrivare in pochi minuti alla base dei due colli, detta Selletta dei Colsanti. Da qui si diparte lo scosceso sentiero che sale verso il col Santino che raggiungiamo lasciando lo stretto sentiero ed arrampicandoci quasi sulle roccette e tra i mughi che ne delimitano lo spazio. Siamo a 2096 m. e torniamo, con prudenza, sui nostri passi per imboccare il sentiero lasciato poc'anzi che digrada dolcemente fino alla strada dell'alpe Pozza. Percorrendola verso destra arriviamo in breve al Rifugio Vincenzo Lancia dove regna, è il caso di dirlo, da molti anni la famiglia di Paolo Bortoloso di cui purtroppo si intuiscono solamente i contorni dei candidi baffi sotto la mascherina. Dopo una sosta, nel nostro caso mangereccia e dissetante, riprendiamo la strada verso il parcheggio. Sulla destra troviamo altri due bivi che porterebbero all'alpe Alba, che potrebbero essere varianti al sentiero appena percorso. Ma sarà per la prossima volta.
Totale 16 km. percorsi con un dislivello di 950 m., in circa 5 ore ed una difficolta media/EE
Tra queste quella di un noto frequentatore di sale da ballo (e letti) dell'Alto Garda (ndr). Lasciamo tali casupole al calor del sole già alto in cielo e risaliamo il pendio del Dosso denominato dell'Anziana fino alla Selletta omonima e ci arrampichiamo ancora per una mezzorata per il sentiero nell'erba che risale il col Santo (2112 m.), prima metà provvisoria della giornata. Da qui proseguiamo per arrivare in pochi minuti alla base dei due colli, detta Selletta dei Colsanti. Da qui si diparte lo scosceso sentiero che sale verso il col Santino che raggiungiamo lasciando lo stretto sentiero ed arrampicandoci quasi sulle roccette e tra i mughi che ne delimitano lo spazio. Siamo a 2096 m. e torniamo, con prudenza, sui nostri passi per imboccare il sentiero lasciato poc'anzi che digrada dolcemente fino alla strada dell'alpe Pozza. Percorrendola verso destra arriviamo in breve al Rifugio Vincenzo Lancia dove regna, è il caso di dirlo, da molti anni la famiglia di Paolo Bortoloso di cui purtroppo si intuiscono solamente i contorni dei candidi baffi sotto la mascherina. Dopo una sosta, nel nostro caso mangereccia e dissetante, riprendiamo la strada verso il parcheggio. Sulla destra troviamo altri due bivi che porterebbero all'alpe Alba, che potrebbero essere varianti al sentiero appena percorso. Ma sarà per la prossima volta.
Totale 16 km. percorsi con un dislivello di 950 m., in circa 5 ore ed una difficolta media/EE
Sopra la partenza, sotto arrivo all'alpe Alba
Eccoci al Col Santo, 2112m.
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Qualche selfie per autostima...
Alla ricerca della vetta del Col Santino, 2096 m.
La discesa e l'arrivo al Rifugio Lancia (1810m.)