Un facile giro solo parzialmente su sentiero che porta ad esplorare le zone vocate all’olivicoltura ed alla coltivazione del vitigno Nosiola, da cui viene poi ricavato il celebre Vino Santo. Nel percorso antichi borghi, corsi d’acqua antichi e nuovi, castelli inaccessibili, piccole chiese semidimenticate, spiritualità contadina, laghi sconvolti nei loro habitat dalla frenesia idroelettrica. Tutto questo e molto altro è la valle dei Laghi e la sorella valle di Cavedine, alle falde del Bondone e ad un passo dal Garda.
Outdoor
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Partiamo dal parcheggio della Centrale Idroelettrica di S.Massenza, di cui consigliamo la visita in alto momento (durata circa 2 ore, molto interessante. Contattare eventualmente hydrodolomiti). Da qui ci dirigiamo verso la località Due Laghi, dove ci sono ben due ristoranti ed un albergo (sosta caffè in una delle strutture). Pieghiamo per tornare verso Trento ed aggiriamo il "Giardino delle Spezie", ristorante e gelateria e saliamo sulla strada fino a che troviamo il sentiero dedicato alle Rogge di Calavino. Lo risaliamo, seguendo appunto all'incontrario il corso della roggia fino alle case del paese. Risaliamo attraversando la Provinciale e salendo fino al sagrato della chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, risalente all'XI° secolo ma rimaneggiata nel XVI°, con pronao che colpevolmente taglia un prezioso affresco. Un giro per le strade del paese ci riporta indietro nel tempo, e le suggestioni temporali spaziano dal cinquecento all'ottocento. Scendiamo per via Pedrini, via Filatoi e fino quasi alla SP 84. Sempre su asfalto e ghiaino, tra ulivi e vigneti, saliamo fino al piccolo ed affascinante borgo di Castel Madruzzo, dominato dal maniero omonimo. Nel periodo natalizio il borgo è animato da decine di presepi di tutte le forme e origini. Continuiamo sulla strada principale verso Lasino. Anche qui attraversiamo la storia fino alla rotonda posta sulla strada e riattraversiamo la SP 84 salendo verso la chiesa di S.Siro. Proseguiamo fino alla SP 251 che attraversiamo, tenendo poi la sinistra per due bivi. Saliamo poi verso la chiesetta di San Mauro, e proseguiamo raggiungendo di nuovo la SP 251. Ne seguiamo il corso fino ad un tornante (cartello pendenza 11%), prendendo poi a destra un sentiero (primo tratto in cemento) che ci conduce a Ponte Oliveti (trattoria omonima subito dopo il ponte). Prendiamo la strada che porta a Sarche, girando poi alla prima strada asfaltata utile (prima ve n’è una vietata al traffico pubblico). Attraversiamo la zona nuova del paese di Sarche confluendo sulla SS 45bis Gardesana all’altezza del ristorante pizzeria Al Convento. Da lì (sosta pranzo) si prosegue sul marciapiede verso Trento immettendosi quasi subito nel sentiero pedonale lungolago di Toblino. Qui gli scorci sul lago, il castello e l’ambiente lacustre faranno certamente tirare tardi agli amanti degli scatti fotografici. Il castello è accessibile solo per ciò che riguarda l’ingresso ed il bar , poi naturalmente solo ai clienti dell’hotel. Da novembre a marzo il castello rimane chiuso poi aperto tutti i giorni. Finita la passeggiata lungolago attraversiamo nei pressi della rotatoria per imboccare la strada di Santa Massenza e ritornare al parcheggio.
Dislivello + 350 m.
Tempo escluse le soste 5 h. 30’
Lunghezza 17,5 km.
Difficoltà F
Punto più alto 501 m.
Dislivello + 350 m.
Tempo escluse le soste 5 h. 30’
Lunghezza 17,5 km.
Difficoltà F
Punto più alto 501 m.
la centrale ed il lago di santa massenza
Il lago di Santa Massenza è un lago di origine glaciale che si trova nel comune di Vallelaghi in Trentino ed è collegato al Lago di Toblino da un breve canale. Le sponde occidentali e meridionali del lago sono facilmente raggiungibili, mentre quelle settentrionali e orientali sono occupate rispettivamente dalla centrale idroelettrica di Santa Massenza e da vigneti. Nonostante lo scarico delle acque della centrale abbia modificato le condizioni idrologiche del lago, la fauna ittica è ricca e variegata.
La centrale idroelettrica di Santa Massenza è la punta di diamante del sistema che utilizza le acque del bacino del Sarca per la produzione di energia pulita. Con una producibilità media annua di 640 GWh è la centrale più potente del Trentino.
Grazie al progetto Hydrotour Dolomiti promosso da Gruppo Dolomiti Energia oggi è possibile entrare nel cuore dell’impianto di Santa Massenza e scoprire come la forza dell’acqua si traduce in energia. Una visita guidata di 2 ore con l’ausilio di supporti video e plastici che non mancherà di entusiasmarvi.
La più potente d’Europa
La centrale idroelettrica di Santa Massenza fu progettata da Giovanni Muzio (1893-1982), architetto milanese artefice del Palazzo della Triennale di Milano e della Basilica dell’Annunciazione di Nazareth. Entrata in funzione nel 1953, fu ufficialmente inaugurata il 23 ottobre 1955. All’epoca della sua costruzione la centrale di Santa Massenza era la più potente in Europa. Da sola poteva soddisfare il fabbisogno energetico dell’intera città di Milano. Per un Trentino uscito a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale e con intere vallate svuotate dall’emigrazione, l’impianto di Santa Massenza rappresentò un’importante opportunità di rilancio economico. I cantieri sul Sarca diedero occupazione a 8000 uomini contribuendo a invertire il fenomeno migratorio. La costruzione della centrale, delle opere di presa e delle gallerie necessarie a portare l’acqua a Santa Massenza richiese 10 anni e oltre 1 milione di giornate di lavoro. Il complesso di 60 Km di gallerie fu scavato nella roccia ricorrendo a ingenti quantità di dinamite: un lavoro duro e pericoloso, al punto che le imprese responsabili degli scavi misero in preventivo 1 morto per ogni chilometro di galleria realizzato. Fortunatamente la macabra stima si rivelò eccessiva e gli operai deceduti furono “solo” 33. La centrale di Santa Massenza richiese un investimento di 30 miliardi di lire, equivalenti a circa 500 milioni di euro odierni.
Il funzionamento della centrale
I ghiacciai del Gruppo Adamello-Brenta e le piogge alimentano i numerosi torrenti montani che confluiscono nel fiume Sarca, il principale immissario del lago di Garda. Le acque di questi torrenti sono intercettate da 16 opere di presa e convogliate in una vasca di accumulo situata in Val di Genova (895 m di altitudine), vicino a Pinzolo. Da qui si sviluppa la galleria che porta l’acqua al lago di Molveno (823 m di altitudine). Le acque del medio Sarca che non sono derivate a monte verso il lago di Molveno vengono raccolte in un bacino artificiale presso Ponte Pià, vicino a Tione. Dal lago di Molveno e dal bacino di Ponte Pià si sviluppano oltre 15 Km di gallerie che trasferiscono l’acqua a due condotte forzate d’acciaio. Quella che riceve l’acqua da Ponte Pià fa un salto verticale di 220 m. Quella che riceve l’acqua da Molveno addirittura di 580 m. L’acqua arriva alla centrale di Santa Massenza e passa attraverso ugelli idraulici che la spingono a una velocità fino a 360 Km/h. Sedici enormi turbine trasformano l’energia cinetica dell’acqua in energia meccanica di rotazione. L’alternatore converte l’energia meccanica in energia elettrica che viene innalzata di tensione tramite dei trasformatori e immessa nella rete elettrica nazionale. Le acque turbinate vengono rilasciate nel lago di Santa Massenza adiacente alla centrale. Da qui, attraverso una complessa rete di opere ideauliche, raggiungono le centrali Toblino, Fies, Dro e Torbole. Infine concludono il loro viaggio nel lago di Garda.
L’acqua che scende… a volte sale
Le tecnologie oggi disponibili non consentono di immagazzinare l’energia su larga scala. Nei momenti di bassa richiesta di energia (per esempio durante la notte) il flusso d’acqua che arriva alla centrale può essere interrotto e la produzione di energia elettrica diminuita o cessata del tutto. In tali circostanze l’acqua viene prelevata dal lago di Santa Massenza e pompata al lago di Molveno attraverso una condotta forzata gemella. Ciò consente di ricreare a monte una riserva di acqua pronta per essere utilizzata nel momento in cui la richiesta di energia è più alta.
I numeri della centrale
Si può muovere un treno facendogli fare 3500 volte il giro della Terra. Oppure si può illuminare la Torre Eiffel per 82 anni. Insomma… 640 GWh sono proprio tanti! La sala macchine della centrale di Santa Massenza è costruita nelle viscere del Monte Gazza. Vi si accede percorrendo un tunnel lungo 400 metri che nella sua parte terminale devia a destra. In periodo post-bellico tale accorgimento fu adottato per celare la sala alla vista dall’esterno proteggendola da un eventuale bombardamento.
Le dimensioni della sala macchine sono da record: 150 mila metri cubi, 30 metri di altezza e una lunghezza superiore a quella della Basilica di San Pietro!
La centrale idroelettrica di Santa Massenza è la punta di diamante del sistema che utilizza le acque del bacino del Sarca per la produzione di energia pulita. Con una producibilità media annua di 640 GWh è la centrale più potente del Trentino.
Grazie al progetto Hydrotour Dolomiti promosso da Gruppo Dolomiti Energia oggi è possibile entrare nel cuore dell’impianto di Santa Massenza e scoprire come la forza dell’acqua si traduce in energia. Una visita guidata di 2 ore con l’ausilio di supporti video e plastici che non mancherà di entusiasmarvi.
La più potente d’Europa
La centrale idroelettrica di Santa Massenza fu progettata da Giovanni Muzio (1893-1982), architetto milanese artefice del Palazzo della Triennale di Milano e della Basilica dell’Annunciazione di Nazareth. Entrata in funzione nel 1953, fu ufficialmente inaugurata il 23 ottobre 1955. All’epoca della sua costruzione la centrale di Santa Massenza era la più potente in Europa. Da sola poteva soddisfare il fabbisogno energetico dell’intera città di Milano. Per un Trentino uscito a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale e con intere vallate svuotate dall’emigrazione, l’impianto di Santa Massenza rappresentò un’importante opportunità di rilancio economico. I cantieri sul Sarca diedero occupazione a 8000 uomini contribuendo a invertire il fenomeno migratorio. La costruzione della centrale, delle opere di presa e delle gallerie necessarie a portare l’acqua a Santa Massenza richiese 10 anni e oltre 1 milione di giornate di lavoro. Il complesso di 60 Km di gallerie fu scavato nella roccia ricorrendo a ingenti quantità di dinamite: un lavoro duro e pericoloso, al punto che le imprese responsabili degli scavi misero in preventivo 1 morto per ogni chilometro di galleria realizzato. Fortunatamente la macabra stima si rivelò eccessiva e gli operai deceduti furono “solo” 33. La centrale di Santa Massenza richiese un investimento di 30 miliardi di lire, equivalenti a circa 500 milioni di euro odierni.
Il funzionamento della centrale
I ghiacciai del Gruppo Adamello-Brenta e le piogge alimentano i numerosi torrenti montani che confluiscono nel fiume Sarca, il principale immissario del lago di Garda. Le acque di questi torrenti sono intercettate da 16 opere di presa e convogliate in una vasca di accumulo situata in Val di Genova (895 m di altitudine), vicino a Pinzolo. Da qui si sviluppa la galleria che porta l’acqua al lago di Molveno (823 m di altitudine). Le acque del medio Sarca che non sono derivate a monte verso il lago di Molveno vengono raccolte in un bacino artificiale presso Ponte Pià, vicino a Tione. Dal lago di Molveno e dal bacino di Ponte Pià si sviluppano oltre 15 Km di gallerie che trasferiscono l’acqua a due condotte forzate d’acciaio. Quella che riceve l’acqua da Ponte Pià fa un salto verticale di 220 m. Quella che riceve l’acqua da Molveno addirittura di 580 m. L’acqua arriva alla centrale di Santa Massenza e passa attraverso ugelli idraulici che la spingono a una velocità fino a 360 Km/h. Sedici enormi turbine trasformano l’energia cinetica dell’acqua in energia meccanica di rotazione. L’alternatore converte l’energia meccanica in energia elettrica che viene innalzata di tensione tramite dei trasformatori e immessa nella rete elettrica nazionale. Le acque turbinate vengono rilasciate nel lago di Santa Massenza adiacente alla centrale. Da qui, attraverso una complessa rete di opere ideauliche, raggiungono le centrali Toblino, Fies, Dro e Torbole. Infine concludono il loro viaggio nel lago di Garda.
L’acqua che scende… a volte sale
Le tecnologie oggi disponibili non consentono di immagazzinare l’energia su larga scala. Nei momenti di bassa richiesta di energia (per esempio durante la notte) il flusso d’acqua che arriva alla centrale può essere interrotto e la produzione di energia elettrica diminuita o cessata del tutto. In tali circostanze l’acqua viene prelevata dal lago di Santa Massenza e pompata al lago di Molveno attraverso una condotta forzata gemella. Ciò consente di ricreare a monte una riserva di acqua pronta per essere utilizzata nel momento in cui la richiesta di energia è più alta.
I numeri della centrale
- Producibilità media annua: 640 GWh
- Derivazione principale: Lago di Molveno
- Salto utile: 580 m
- Portata: 70 mc/s
- Derivazione secondaria: Bacino artificiale di Ponte Pià
- Salto utile: 220 m
- Portata: 16 mc/s
- Turbine: 15 Pelton (ad asse orizzontale) + 1 Francis (ad asse verticale)
Si può muovere un treno facendogli fare 3500 volte il giro della Terra. Oppure si può illuminare la Torre Eiffel per 82 anni. Insomma… 640 GWh sono proprio tanti! La sala macchine della centrale di Santa Massenza è costruita nelle viscere del Monte Gazza. Vi si accede percorrendo un tunnel lungo 400 metri che nella sua parte terminale devia a destra. In periodo post-bellico tale accorgimento fu adottato per celare la sala alla vista dall’esterno proteggendola da un eventuale bombardamento.
Le dimensioni della sala macchine sono da record: 150 mila metri cubi, 30 metri di altezza e una lunghezza superiore a quella della Basilica di San Pietro!
calavino, le sue rogge, la sua chiesa
La grande disponibilità di acqua con la sua forza motrice favorì fino alla fine del XIX° secolo l'insediamento di decine di attività artigianali le cui tracce sono tutt'oggi visibili. Il percorso si addentra nella suggestiva forra dei Canevai, che alterna cascate a profonde pozze, e di seguito si apre nei vigneti di Nosiola, uvaggio che caratterizza questa zona e dal quale si ricava il Vino Santo, pregiato passito. I giochi d'acqua della forra dei Canevai sono maggiormente visibili percorrendo il sentiero in senso orario; la salita sarà accompagnata da una piacevole frescura.
La chiesa di Santa Maria Assunta, pieve ab immemorabili, è orientata a est e sorge nella parte alta del paese di Calavino. L'edificio venne riedificato in stile rinascimentale nel corso del XVI secolo per volere della famiglia Madruzzo. La facciata a due spioventi, conclusa da un frontone triangolare, è aperta da un portale, preceduto da un ampio pronao. Il campanile in pietra, addossato alla facciata, è caratterizzato da una doppia cella campanaria con bifore. La chiesa è a pianta a croce latina: la navata è suddivisa in tre campate voltate a crociera; nei bracci del transetto si aprono due cappelle riccamente decorate; il presbiterio e l'abside poligonale sono coperti da volte a ombrello. Pietre cantonali del campanile con segni romanici rappresentano tracce della chiesa primitiva. I peducci del presbiterio e l'affresco della facciata, databili al XV secolo, rappresentano tracce dell'edificio precedente, inglobato nella fabbrica cinquecentesca. Pianta a croce latina; transetto rettangolare; presbiterio rettangolare; abside poligonale. Facciata a due spioventi, serrata tra il campanile e un contrafforte angolare, conclusa da un frontone triangolare coronato da pinnacoli. Al centro si apre un portale architravato con lunetta, preceduto da un pronao a tre fornici e sovrastato da un oculo. Finiture ad intonaco. Fiancate segnate da contrafforti in pietra a vista e dai volumi in aggetto del transetto. Conci angolari, zoccolo lapideo e finiture ad intonaco. Alla fiancata nord è addossata la sacrestia. La fiancata sud è aperta da un ingresso laterale lungo la navata, preceduto da un protiro, e da un altro ingresso, a livello del presbiterio. La struttura del campanile è a pianta quadrata, addossata alla facciata; fusto in muratura di pietrame a vista caratterizzato da feritoie e quadrante di orologio; due celle campanarie aperte da bifore: la prima quadrata e la seconda ottagonale; cupolino rivestito in lamiera metallica. Strutture portanti verticali: muratura in pietrame intonacata. Strutture di orizzontamento: tre volte a crociera sulla navata; volta ad ombrello sul presbiterio e sull'abside; volta a botte unghiata sopra la cappella sinistra; volta a vela sopra la cappella destra; pronao e protiro voltati a crociera con tiranti in ferro. Tetto della navata a doppia falda, ricoperti da coppi in laterizio. Tetti del presbiterio, del transetto, del pronao e dei protiri a più falde, ricoperti da coppi in laterizio. Navata unica suddivisa in tre campate, mediante paraste doriche reggenti arcate a tutto sesto. Cappelle laterali situate nei bracci del transetto, precedute da arcate a tutto sesto e percorse da un cornicione marcapiano. Presbiterio preceduto da arco santo, rialzato su tre gradini e caratterizzato da due portali laterali. Quattro finestre lunettate (due nella navata e due nel presbiterio) ed una centinata (abside) aperte sul lato destro dell'edificio; finestre speculari cieche sul lato sinistro. Una finestra centinata nella cappella destra e due in quella sinistra. Finiture ad intonaco tinteggiato. Pavimento della navata a mattonelle di pietra, a corsi diagonali; presenza di lapidi sepolcrali. Pavimento del presbiterio a mattonelle bicolori in pietra disposte a scacchiera, a forma quadrilobata e stellata. Pavimento delle cappelle a mattonelle in pietra, a forma romboidale. Affresco in facciata; cappella sinistra dipinta ad affresco; cappella destra decorata da affreschi e tele entro stucchi; volte del presbiterio e dell'abside con decorazioni a tempera.
Cronologia
V - XI (fondazione intero bene) La fondazione della primitiva chiesa di Calavino si colloca tra i secoli V-XI.
1236 (menzione carattere generale) La pieve di Calavino è documentata la prima volta nel 1236.
1236 - XIV° (ricostruzione intero bene ) La primitiva chiesa fu ricostruita tra i secoli XIII-XIV.
1524 - 1540 (ampliamento intero bene ) La chiesa fu riedificata, per volere della famiglia Madruzzo: i lavori iniziarono nel 1524 (data incisa sul portale laterale); in particolare i lavori si concentrarono tra il 1537 e il 1540: la navata venne ingrandita e alzata, il presbiterio venne ampliato, fu completata la facciata, eretto il pronao ed elevato il campanile, l'ingresso laterale
fu fornito di un protiro.
1547 - 1549 (costruzione cappella) La cappella Madruzzo fu edificata e decorata tra il 1547 e il 1549: gli affreschi sono attribuiti a Marcello Fogolino.
1589 (rimaneggiamento facciata) Il portale maggiore risale al 1589: l'ingresso venne probabilmente ampliato.
1668 - 1676 (costruzione cappella ) La cappella del Rosario fu edificata e decorata tra il 1668 e il 1676 da affreschi e tele di Carlo Pozzi, entro stucchi attribuiti a Rinaldo Visetti, per volere della confraternita omonima e di Giovanni Antonio de' Geremia,
arciprete di Calavino.
1734 - 1744 (rimaneggiamento abside) Furono chiuse due finestre della zona presbiteriale nel 1734 e un'altra nel 1744.
1867 (rimaneggiamento navata) Due finestre rettangolari della parete meridionale della navata furono sostituite con due a lunetta nel 1867.
1911 (presbiterio decorazione) Il presbiterio fu decorato nel 1911 da Sigismondo Nardi.
1970 (tinteggiatura intero bene).La chiesa fu ritinteggiata nel 1970: in quest'occasione venne alla luce l'affresco della facciata.
1976 (presbiterio restauro). I dipinti del presbiterio furono restaurati ed integrati nel 1976.
1993 (intero bene restauro ). Nel 1993 furono restaurati gli stucchi, i dipinti e gli affreschi delle cappelle laterali.
La chiesa di Santa Maria Assunta, pieve ab immemorabili, è orientata a est e sorge nella parte alta del paese di Calavino. L'edificio venne riedificato in stile rinascimentale nel corso del XVI secolo per volere della famiglia Madruzzo. La facciata a due spioventi, conclusa da un frontone triangolare, è aperta da un portale, preceduto da un ampio pronao. Il campanile in pietra, addossato alla facciata, è caratterizzato da una doppia cella campanaria con bifore. La chiesa è a pianta a croce latina: la navata è suddivisa in tre campate voltate a crociera; nei bracci del transetto si aprono due cappelle riccamente decorate; il presbiterio e l'abside poligonale sono coperti da volte a ombrello. Pietre cantonali del campanile con segni romanici rappresentano tracce della chiesa primitiva. I peducci del presbiterio e l'affresco della facciata, databili al XV secolo, rappresentano tracce dell'edificio precedente, inglobato nella fabbrica cinquecentesca. Pianta a croce latina; transetto rettangolare; presbiterio rettangolare; abside poligonale. Facciata a due spioventi, serrata tra il campanile e un contrafforte angolare, conclusa da un frontone triangolare coronato da pinnacoli. Al centro si apre un portale architravato con lunetta, preceduto da un pronao a tre fornici e sovrastato da un oculo. Finiture ad intonaco. Fiancate segnate da contrafforti in pietra a vista e dai volumi in aggetto del transetto. Conci angolari, zoccolo lapideo e finiture ad intonaco. Alla fiancata nord è addossata la sacrestia. La fiancata sud è aperta da un ingresso laterale lungo la navata, preceduto da un protiro, e da un altro ingresso, a livello del presbiterio. La struttura del campanile è a pianta quadrata, addossata alla facciata; fusto in muratura di pietrame a vista caratterizzato da feritoie e quadrante di orologio; due celle campanarie aperte da bifore: la prima quadrata e la seconda ottagonale; cupolino rivestito in lamiera metallica. Strutture portanti verticali: muratura in pietrame intonacata. Strutture di orizzontamento: tre volte a crociera sulla navata; volta ad ombrello sul presbiterio e sull'abside; volta a botte unghiata sopra la cappella sinistra; volta a vela sopra la cappella destra; pronao e protiro voltati a crociera con tiranti in ferro. Tetto della navata a doppia falda, ricoperti da coppi in laterizio. Tetti del presbiterio, del transetto, del pronao e dei protiri a più falde, ricoperti da coppi in laterizio. Navata unica suddivisa in tre campate, mediante paraste doriche reggenti arcate a tutto sesto. Cappelle laterali situate nei bracci del transetto, precedute da arcate a tutto sesto e percorse da un cornicione marcapiano. Presbiterio preceduto da arco santo, rialzato su tre gradini e caratterizzato da due portali laterali. Quattro finestre lunettate (due nella navata e due nel presbiterio) ed una centinata (abside) aperte sul lato destro dell'edificio; finestre speculari cieche sul lato sinistro. Una finestra centinata nella cappella destra e due in quella sinistra. Finiture ad intonaco tinteggiato. Pavimento della navata a mattonelle di pietra, a corsi diagonali; presenza di lapidi sepolcrali. Pavimento del presbiterio a mattonelle bicolori in pietra disposte a scacchiera, a forma quadrilobata e stellata. Pavimento delle cappelle a mattonelle in pietra, a forma romboidale. Affresco in facciata; cappella sinistra dipinta ad affresco; cappella destra decorata da affreschi e tele entro stucchi; volte del presbiterio e dell'abside con decorazioni a tempera.
Cronologia
V - XI (fondazione intero bene) La fondazione della primitiva chiesa di Calavino si colloca tra i secoli V-XI.
1236 (menzione carattere generale) La pieve di Calavino è documentata la prima volta nel 1236.
1236 - XIV° (ricostruzione intero bene ) La primitiva chiesa fu ricostruita tra i secoli XIII-XIV.
1524 - 1540 (ampliamento intero bene ) La chiesa fu riedificata, per volere della famiglia Madruzzo: i lavori iniziarono nel 1524 (data incisa sul portale laterale); in particolare i lavori si concentrarono tra il 1537 e il 1540: la navata venne ingrandita e alzata, il presbiterio venne ampliato, fu completata la facciata, eretto il pronao ed elevato il campanile, l'ingresso laterale
fu fornito di un protiro.
1547 - 1549 (costruzione cappella) La cappella Madruzzo fu edificata e decorata tra il 1547 e il 1549: gli affreschi sono attribuiti a Marcello Fogolino.
1589 (rimaneggiamento facciata) Il portale maggiore risale al 1589: l'ingresso venne probabilmente ampliato.
1668 - 1676 (costruzione cappella ) La cappella del Rosario fu edificata e decorata tra il 1668 e il 1676 da affreschi e tele di Carlo Pozzi, entro stucchi attribuiti a Rinaldo Visetti, per volere della confraternita omonima e di Giovanni Antonio de' Geremia,
arciprete di Calavino.
1734 - 1744 (rimaneggiamento abside) Furono chiuse due finestre della zona presbiteriale nel 1734 e un'altra nel 1744.
1867 (rimaneggiamento navata) Due finestre rettangolari della parete meridionale della navata furono sostituite con due a lunetta nel 1867.
1911 (presbiterio decorazione) Il presbiterio fu decorato nel 1911 da Sigismondo Nardi.
1970 (tinteggiatura intero bene).La chiesa fu ritinteggiata nel 1970: in quest'occasione venne alla luce l'affresco della facciata.
1976 (presbiterio restauro). I dipinti del presbiterio furono restaurati ed integrati nel 1976.
1993 (intero bene restauro ). Nel 1993 furono restaurati gli stucchi, i dipinti e gli affreschi delle cappelle laterali.
Castel Madruzzo ed il Castello
Castel Madruzzo (550m.) è una delle frazioni del Comune di Lasino, dove risiedono poco meno di 100 abitanti. Il paese, che si sviluppo ai piedi dell’omonimo Castello residenza della famiglia Madruzzo, è ubicato in una limitata zona climatica che grazie all’influenza del bacino gardesano sviluppa fattori ambientali molto favorevoli, elemento che permise l’insediamento umano già in tempi remoti.
Le prime notizie di una famiglia che prese il nome dal paese di Madruzzo si ebbero quando Gumpone, un milite vassallo dei conti di Appiano, ricevette dal vescovo Adelpreto II di Trento l’investitura solenne del castello (1160). Diverse successioni e vicende storiche hanno visto alternarsi vari ceppi familiari, il più noto dei quali è legato ai vescovi principi che ebbero un ruolo importante nel principato vescovile di Trento per oltre un secolo, dal 1539 al 1658. A tale dinastia appartenne il Cardinale Cristoforo Madruzzo. Al castello si accede transitando da una strada, sostenuta da robuste opere d’arte, che percorre il fianco meridionale del colle tra macchie di larici alternate a pini e cipressi. Dopo aver superato la prima porta e il tratto tra il parco e la roccia, si arriva ad una grande curva quasi nel cuore del parco per giungere poi alla parte vecchia del castello. Qui la strada si infila in una specie di galleria. Dalla parte sinistra del castello si sviluppa una muraglia che unisce i bastioni e si congiunge con la muraglia principale merlata alla guelfa. Fiancheggiando l’alta muraglia di fronte all’ingresso davanti al favoloso Palazzo di Giovanni Gaudenzio si può ammirare un delizioso ambiente aperto al sole sia del mezzogiorno che della sera. Attraverso un corridoio si entra nel cortile maggiore dove si trovano un pozzo quattrocentesco e la chiesetta di S. Giorgio. Castel Madruzzo è diviso in due parti: Castel Vecchio e Castel Nuovo. La parte del cosiddetto Castel Vecchio è rappresentata dalla torre di Gumpone, a forma di trapezio, con scale in legno che conducono al coronamento dal quale si può ammirare un bellissimo panorama e dalla Torre di Boninsegna, a pianta quadrata. Castel Nuovo fu costruito da Giovanni Gaudenzio che voleva una residenza alla moda e così nei primi del XVI secolo iniziò i lavori di restauro realizzati poi alla fine dell’Ottocento dal dottor Francesco Larcher. Tutti gli appartamenti del palazzo nuovo si aprono sull’ampio salone di ingresso. Vi sono quattro locali luminosi: la sala delle guardie, dove si è trovato un affresco del Cinquecento, la sala del camino, dove sono appesi una serie di ritratti dei personaggi madruzziani attribuiti al Chiocchetti, la sala della Tavola, che ospita una grande tavola in quercia, la sala della stua, dove è situato un grande camino dallo stile nobiliare. Il Castello, di proprietà privata, non è però visitabile. E' composto da una cinta muraria che circonda cortile centrale sul quale si affacciano i vari edifici. E'possibile suddividerlo in due parti: una parte abitabile a sud con palazzi per lo più di origine cinquecentesca. una parte ancora in rovina a nord di cui fa parte anche il mastio. Intorno al castello si estende un parco di 12 ettari.
La chiesa di Castel Madruzzo fu edificata per iniziativa del principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo tra il 1645 (come attesta un’iscrizione nell’atrio) e il 1650 (data incisa sull’architrave in pietra della porta d’ingresso). Al suo interno si riproduce la Casa della Vergine presente nella basilica di Loreto (AN), imitandone misure, conformazione spaziale, finestrelle e decorazioni. Il nucleo interno è a pianta rettangolare e presenta una copertura a volta a botte dipinta con cielo stellato su fondo bianco. Le pareti sono dipinte da finti mattoni e da immagini che riprendono episodi della vita della Madonna. Sugli affreschi si intravedono anche numerose firme, date ed attestazioni di ex voto incise da chi si recava in pellegrinaggio per la festa della Maria Lauretana il 10 dicembre. L’immagine della Madonna, conservata nell’altare maggiore, è una copia fedele della statua cinquecentesca di Loreto (andata perduta in un incendio del 1921) che mostra la Vergine con originale carnagione olivastra. Al nucleo originario furono aggiunte, ad inizio del XVIII secolo, le due cappelle laterali con altare marmoreo e pala dipinta (quella di destra dedicata a San Tommaso, quella di sinistra consacrata alla Sacra Famiglia), la torre campanaria (1749) e in epoca più recente la sacrestia con volta decorata. Vicino alla cappella di S. Tommaso sono collocati il fonte battesimale e un confessionale. Sulle pareti esterne del nucleo centrale sono collocate le 14 stazioni della Via Crucis, realizzate nel 1751 e benedette soltanto nel 1902. Il restauro. La chiesa era interessata da preoccupanti fenomeni di degrado, tali da pregiudicare la conservazione delle strutture e delle testimonianze storico-artistiche in essa contenute. I lavori di restauro, finanziati dalla Provincia Autonoma di Trento si sono compiuti tra l’autunno 2011 e il dicembre 2012 dall’architetto Roberto Paoli. Essi hanno permesso alla chiesa di ritrovare il suo antico splendore e riscoprire anche dipinti nascosti. Il vecchio pavimento è stato rimosso, gli intonaci sono stati risistemati, il portale in pietra e i vari elementi lapidari sono stati restaurati. Inoltre, i dipinti murali interni mostravano uno stato di conservazione piuttosto alterato, rovinato dai numerosi interventi di manutenzione e dall’umidità di risalita. L’originale cielo stellato era stato occultato da strati di ridipintura a calce. Un lavoro interessante e accurato è stato fatto anche
sulla statua lignea policroma raffigurante la Madonna con bambino. Sono stati rimossi lo strato di particolato atmosferico e la vernice ossidata. Sono state eseguite reintegrazioni pittoriche delle lacune stuccate e delle lacune di doratura e policromia. Anche l’abito in raso di seta è stato oggetto di intervento, sono stati eseguiti lavori di adeguamento degli impianti di riscaldamento, di amplificazione ed elettrico, con dispositivo di programmazione per il suono delle campane.
Le prime notizie di una famiglia che prese il nome dal paese di Madruzzo si ebbero quando Gumpone, un milite vassallo dei conti di Appiano, ricevette dal vescovo Adelpreto II di Trento l’investitura solenne del castello (1160). Diverse successioni e vicende storiche hanno visto alternarsi vari ceppi familiari, il più noto dei quali è legato ai vescovi principi che ebbero un ruolo importante nel principato vescovile di Trento per oltre un secolo, dal 1539 al 1658. A tale dinastia appartenne il Cardinale Cristoforo Madruzzo. Al castello si accede transitando da una strada, sostenuta da robuste opere d’arte, che percorre il fianco meridionale del colle tra macchie di larici alternate a pini e cipressi. Dopo aver superato la prima porta e il tratto tra il parco e la roccia, si arriva ad una grande curva quasi nel cuore del parco per giungere poi alla parte vecchia del castello. Qui la strada si infila in una specie di galleria. Dalla parte sinistra del castello si sviluppa una muraglia che unisce i bastioni e si congiunge con la muraglia principale merlata alla guelfa. Fiancheggiando l’alta muraglia di fronte all’ingresso davanti al favoloso Palazzo di Giovanni Gaudenzio si può ammirare un delizioso ambiente aperto al sole sia del mezzogiorno che della sera. Attraverso un corridoio si entra nel cortile maggiore dove si trovano un pozzo quattrocentesco e la chiesetta di S. Giorgio. Castel Madruzzo è diviso in due parti: Castel Vecchio e Castel Nuovo. La parte del cosiddetto Castel Vecchio è rappresentata dalla torre di Gumpone, a forma di trapezio, con scale in legno che conducono al coronamento dal quale si può ammirare un bellissimo panorama e dalla Torre di Boninsegna, a pianta quadrata. Castel Nuovo fu costruito da Giovanni Gaudenzio che voleva una residenza alla moda e così nei primi del XVI secolo iniziò i lavori di restauro realizzati poi alla fine dell’Ottocento dal dottor Francesco Larcher. Tutti gli appartamenti del palazzo nuovo si aprono sull’ampio salone di ingresso. Vi sono quattro locali luminosi: la sala delle guardie, dove si è trovato un affresco del Cinquecento, la sala del camino, dove sono appesi una serie di ritratti dei personaggi madruzziani attribuiti al Chiocchetti, la sala della Tavola, che ospita una grande tavola in quercia, la sala della stua, dove è situato un grande camino dallo stile nobiliare. Il Castello, di proprietà privata, non è però visitabile. E' composto da una cinta muraria che circonda cortile centrale sul quale si affacciano i vari edifici. E'possibile suddividerlo in due parti: una parte abitabile a sud con palazzi per lo più di origine cinquecentesca. una parte ancora in rovina a nord di cui fa parte anche il mastio. Intorno al castello si estende un parco di 12 ettari.
La chiesa di Castel Madruzzo fu edificata per iniziativa del principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo tra il 1645 (come attesta un’iscrizione nell’atrio) e il 1650 (data incisa sull’architrave in pietra della porta d’ingresso). Al suo interno si riproduce la Casa della Vergine presente nella basilica di Loreto (AN), imitandone misure, conformazione spaziale, finestrelle e decorazioni. Il nucleo interno è a pianta rettangolare e presenta una copertura a volta a botte dipinta con cielo stellato su fondo bianco. Le pareti sono dipinte da finti mattoni e da immagini che riprendono episodi della vita della Madonna. Sugli affreschi si intravedono anche numerose firme, date ed attestazioni di ex voto incise da chi si recava in pellegrinaggio per la festa della Maria Lauretana il 10 dicembre. L’immagine della Madonna, conservata nell’altare maggiore, è una copia fedele della statua cinquecentesca di Loreto (andata perduta in un incendio del 1921) che mostra la Vergine con originale carnagione olivastra. Al nucleo originario furono aggiunte, ad inizio del XVIII secolo, le due cappelle laterali con altare marmoreo e pala dipinta (quella di destra dedicata a San Tommaso, quella di sinistra consacrata alla Sacra Famiglia), la torre campanaria (1749) e in epoca più recente la sacrestia con volta decorata. Vicino alla cappella di S. Tommaso sono collocati il fonte battesimale e un confessionale. Sulle pareti esterne del nucleo centrale sono collocate le 14 stazioni della Via Crucis, realizzate nel 1751 e benedette soltanto nel 1902. Il restauro. La chiesa era interessata da preoccupanti fenomeni di degrado, tali da pregiudicare la conservazione delle strutture e delle testimonianze storico-artistiche in essa contenute. I lavori di restauro, finanziati dalla Provincia Autonoma di Trento si sono compiuti tra l’autunno 2011 e il dicembre 2012 dall’architetto Roberto Paoli. Essi hanno permesso alla chiesa di ritrovare il suo antico splendore e riscoprire anche dipinti nascosti. Il vecchio pavimento è stato rimosso, gli intonaci sono stati risistemati, il portale in pietra e i vari elementi lapidari sono stati restaurati. Inoltre, i dipinti murali interni mostravano uno stato di conservazione piuttosto alterato, rovinato dai numerosi interventi di manutenzione e dall’umidità di risalita. L’originale cielo stellato era stato occultato da strati di ridipintura a calce. Un lavoro interessante e accurato è stato fatto anche
sulla statua lignea policroma raffigurante la Madonna con bambino. Sono stati rimossi lo strato di particolato atmosferico e la vernice ossidata. Sono state eseguite reintegrazioni pittoriche delle lacune stuccate e delle lacune di doratura e policromia. Anche l’abito in raso di seta è stato oggetto di intervento, sono stati eseguiti lavori di adeguamento degli impianti di riscaldamento, di amplificazione ed elettrico, con dispositivo di programmazione per il suono delle campane.
Lasino e S.Siro
La frazione di Lasino fu un importante villa della Pieve di Calavino. La sua prestanza medioevale viene rintracciata nei nomi delle sue chiese: SS. Pietro e Paolo e S. Siro forse a protezione della malaria che imperversava negli acquitrini del Piano del Sarca. Con Castel Madruzzo formava una comunità dotata di propri statuti e di cospicui possedimenti terrieri, con Calavino invece, un consorzio comunale a forma di "Magnifica comunità" per la trattazione di problemi comuni. Lasino è sede di terrazzo e di conoide ben elevato sul fondovalle alluvionale dal quale originariamente era separato da una larga fascia agricola urbanizzata nel secondo dopoguerra. L'organizzazione urbanistica segue la primitiva viabilità valligiana nord-sud lungo le pendici basali del Monte Bondone. Le strade verticali precisano inoltre lo schema parallelo delle case a schiera che compongono il nucleo di antica origine situato sul pendio del conoide (Bordesin), le cui contrade sono come infossate tra le case. Talvolta sono costrette in profondi androni (pòrteghi) a volta a botte o a travata lignea. Gli elementi medioevali sono molteplici e frammisti pittorescamente a interventi successivi. Ci sono tratti di antico selciato, arconi a pieno sesto di pietra, cortili plurifamiliari cinti da muri con portale d'ingresso, portali e portalini a tutto sesto, architetture, aeree sottogronda di ballatoi collegati da scale esterne, comignoli pensili, qualche edicola sacra in nicchia. La strada principale del paese è fiancheggiata da una serie di edifici dall'impronta signorile, pacatamente barocca e tardobarocca. Rappresentazione visibile della storia sul territorio il complesso della Villa Ciani-Bassetti, egregio esempio di casa signorile, azienda agricola-parco inserita nel tessuto urbano. A Lasino, uno dei maggiori protagonisti della conquista agricola del fondovalle del Sarca, furono accertate tracce di costruzioni romane e tardoromane presso S. Siro, dove la tradizione popolare pone un villaggio scomparso per cause ignote.
La chiesetta di S.Siro si erge sul colle omonimo a ridosso di un ammasso roccioso che nel complesso forma il rilievo delle Codecce il quale separa la Piana del Sarca dalla Valle minore di Cavedine. Sorge a poca distanza dal centro abitato, lungo la strada che da Lasino porta alla frazione di Pergolese. Secondo una credenza popolare, la località sarebbe stata abitata da un
nucleo di gente romana e la stessa chiesetta edificata sopra un’ara romana. Lo stile è romanico e le sue origini risalgono al XII secolo. L’aspetto attuale della chiesetta è dovuto a diversi rifacimenti e adattamenti risalenti ad epoche diverse. Dell’antica struttura originaria è stata conservata solamente l’abside semicircolare edificata a pietre squadrate a vista. Originariamente era costituita da un unico avvolto con l’abside rivolta ad est e la rustica navata addossata alla parete rocciosa. Nel 1610 la struttura fu ampliata e modificata, come attesta l’iscrizione leggibile nella parte alta della facciata, appena sotto il piccolo rosone: “FRANCO CISTE E BALDASAR CEMOT A FAT CRESCER E VOLGER LA PRESENTE GESIA EL MESE DE ZUGNO 1610”. La chiesa cambiò la sua posizione originaria estendendosi da settentrione a mezzodì e l’antico catino absidale divenne così una piccola cappella. Sul lato destro della facciata principale si erge il campanile di costruzione romanica, mentre la parte superiore risale al termine del secolo XIII e inizio XIV. Un’altra modifica fu eseguita nel 1890 con l’aggiunta del coro e l’apertura di finestre con arco acuto conferendo all’edificio un aspetto neogotico. Nel 1906 si pose in opera una nuova pavimentazione e si costruirono i muretti a secco di cinta esterna. Con il contributo dell’intera comunità di Lasino, nel 1937 furono sistemati, lungo la strada di accesso alla chiesetta, i capitelli della Via crucis. Anticamente la chiesa era dedicata a S.Procolo, protettore del bestiame. Nel 1484 si consacrò un nuovo altare dedicandolo a S.Siro Vescovo di Pavia. Probabilmente questa nuova dedizione è da mettere in collegamento alla fama proveniente dalla padania e dai segni taumaturgici del Santo protettore delle febbri malariche che imperversavano fra i contadini che scendevano a bonificare gli acquitrini della valle del Sarca. L’arco santo e l’antico catino absidale sono decorati da un ciclo di affreschi raffiguranti i dodici apostoli ritratti nella parte inferiore; nella parete superiore al centro della calotta absidale è invece raffigurato il Cristo Pantocratore, racchiuso nella mandorla e assiso sull’arcobaleno. Ai lati sono raffigurati i quattro simboli degli evangelisti. Sulla volta dell’’arco Santo s’intravede parte delle ali
e le braccia tese di un angelo nell’atto di porgere un giglio, appartenente probabilmente alla scena sacra dell’Annunciazione. Più in basso una figura di un vescovo forse identificabile nella figura di S.Siro. La datazione degli affreschi non è certa: si propende di assegnare l’esecuzione del ciclo pittorico attorno al settimo decennio del XIV secolo.
La chiesetta di S.Siro si erge sul colle omonimo a ridosso di un ammasso roccioso che nel complesso forma il rilievo delle Codecce il quale separa la Piana del Sarca dalla Valle minore di Cavedine. Sorge a poca distanza dal centro abitato, lungo la strada che da Lasino porta alla frazione di Pergolese. Secondo una credenza popolare, la località sarebbe stata abitata da un
nucleo di gente romana e la stessa chiesetta edificata sopra un’ara romana. Lo stile è romanico e le sue origini risalgono al XII secolo. L’aspetto attuale della chiesetta è dovuto a diversi rifacimenti e adattamenti risalenti ad epoche diverse. Dell’antica struttura originaria è stata conservata solamente l’abside semicircolare edificata a pietre squadrate a vista. Originariamente era costituita da un unico avvolto con l’abside rivolta ad est e la rustica navata addossata alla parete rocciosa. Nel 1610 la struttura fu ampliata e modificata, come attesta l’iscrizione leggibile nella parte alta della facciata, appena sotto il piccolo rosone: “FRANCO CISTE E BALDASAR CEMOT A FAT CRESCER E VOLGER LA PRESENTE GESIA EL MESE DE ZUGNO 1610”. La chiesa cambiò la sua posizione originaria estendendosi da settentrione a mezzodì e l’antico catino absidale divenne così una piccola cappella. Sul lato destro della facciata principale si erge il campanile di costruzione romanica, mentre la parte superiore risale al termine del secolo XIII e inizio XIV. Un’altra modifica fu eseguita nel 1890 con l’aggiunta del coro e l’apertura di finestre con arco acuto conferendo all’edificio un aspetto neogotico. Nel 1906 si pose in opera una nuova pavimentazione e si costruirono i muretti a secco di cinta esterna. Con il contributo dell’intera comunità di Lasino, nel 1937 furono sistemati, lungo la strada di accesso alla chiesetta, i capitelli della Via crucis. Anticamente la chiesa era dedicata a S.Procolo, protettore del bestiame. Nel 1484 si consacrò un nuovo altare dedicandolo a S.Siro Vescovo di Pavia. Probabilmente questa nuova dedizione è da mettere in collegamento alla fama proveniente dalla padania e dai segni taumaturgici del Santo protettore delle febbri malariche che imperversavano fra i contadini che scendevano a bonificare gli acquitrini della valle del Sarca. L’arco santo e l’antico catino absidale sono decorati da un ciclo di affreschi raffiguranti i dodici apostoli ritratti nella parte inferiore; nella parete superiore al centro della calotta absidale è invece raffigurato il Cristo Pantocratore, racchiuso nella mandorla e assiso sull’arcobaleno. Ai lati sono raffigurati i quattro simboli degli evangelisti. Sulla volta dell’’arco Santo s’intravede parte delle ali
e le braccia tese di un angelo nell’atto di porgere un giglio, appartenente probabilmente alla scena sacra dell’Annunciazione. Più in basso una figura di un vescovo forse identificabile nella figura di S.Siro. La datazione degli affreschi non è certa: si propende di assegnare l’esecuzione del ciclo pittorico attorno al settimo decennio del XIV secolo.
(Le foto di Lasino risalgono a qualche tempo fa ma sono rigorosamente mie)
San Mauro, Ponte oliveti e il parco fluviale del sarca
In località Cornion, si trova sulla strada di valico che dai Monti scende a Ponte Oliveti. Ha campanile inserito nel fianco della facciata principale con la quale forma un unico volume. E' edificio tardocinquecentesco (rosone del 1599) con evoluzione seicentesca (il campanile fu eretto dal lombardo Giov. Sola nel 1657). Detta dei Corgnoni o dei "Santi di Cornion", è dedicata ai santi Grato, Mauro e Giacomo, protettori della Valle d'Aosta. Di essa si ha notizia dal 1399 e fu ricostruita dalla comunità verso la fine del '500 (la data del 1599 è incisa sul rosone).Si tratta di una solitaria costruzione sacra di valico stradale, degno ornamento storico-culturale dell'ambiente. Il prospetto principale forma un unico volume con il campanile (costruito da maestro Zovan Sola milanese nel 1657) al quale la chiesa è poggiata coperta da un tetto a uno uno spiovente. Un muretto circonda il sagrato.
ll Piano di gestione della Rete è uno strumento di adozione obbligatoria, previsto dalla legge provinciale 11/07, allo scopo di partecipare concretamente nella gestione del territorio sulla base di tre principi: l’integrazione tra tutela e sviluppo economico delle risorse ambientali; la partecipazione delle comunità locali, attraverso il coinvolgimento del maggior numero di portatori d’interesse; la sussidiarietà responsabile, per cui la Provincia autonoma affida alle comunità locali (Comuni, Comunità di Valle, BIM) il compito di gestire il proprio patrimonio ambientale. Le Reti di Riserve della Sarca – alto e basso corso – hanno avviato assieme il percorso di elaborazione del Piano di Gestione Unitario che dovrebbe concludersi entro dicembre 2015. Le due Reti, sulla base di una convenzione, hanno affidato al Parco naturale Adamello Brenta l’incarico di elaborare il piano di gestione. http://www.parcofluvialesarca.tn.it/basso.sarca/ è dunque l’indirizzo del nuovo sito e riguarda il basso corso del fiume Sarca che si estende dalla forra del Limarò alla foce nel Lago di Garda, per uno sviluppo complessivo di 27 km. Laghi, paesaggi lunari, campi coltivati e sentieri suggestivi caratterizzano questo ambiente conosciuto ai più per il clima mite che lo ha reso in passato e lo rende tutt’oggi un percorso preferenziale dei viaggiatori che scendono verso il Garda alla ricerca dell’ambiente mediterraneo. Un territorio popolato fin dall’antichità dove ponti, castelli e chiese aiutano a leggerne la storia. All’interno del Parco Fluviale si trovano ben diciotto aree protette con habitat differenti, che rendono il parco un importante serbatoio di biodiversità per la presenza di molte specie di flora e fauna, alcune delle quali trovano qui l’unica presenza in tutto il Trentino. Nel suo insieme costituisce un corridoio ecologico importante, che connette il Lago di Garda, le Aree Protette esistenti e il Parco Adamello-Brenta. Nella sua parte bassa sono presenti ben cinque laghi: i tre maggiori di S. Massenza, Toblino e Cavedine e i due piccoli gioielli del Lago Bagattoli e del Laghisol.La Rete delle Riserve è uno strumento introdotto dalla legge provinciale. 11/07, per gestire e valorizzare le aree protette in modo più efficace e con un approccio dal basso, attivato su base volontaria dai comuni in cui ricadono sistemi territoriali di particolare interesse naturale, scientifico, storico-culturale e paesaggistico. Lo strumento non impone nuovi vincoli d’uso (permangono quelli previsti dalla normativa vigente) e promuove una gestione attiva e condivisa delle aree protette attraverso la definizione di un Piano di Gestione unitario elaborato con il concorso di tutte le realtà che vivono ed operano nel territorio. La Rete di Riserve del basso Sarca è stata istituita il 28 settembre 2012. Gli enti promotori della Rete del basso Sarca sono: i comuni di Arco, Calavino, Cavedine, Dro, Lasino, Nago Torbole, Padergnone, Riva del Garda, Vezzano, le Comunità di Valle dell’Alto Garda e Ledro e della Valle dei Laghi, il BIM Sarca Mincio Garda (ente capofila) e la Provincia autonoma di Trento. La Rete del basso Sarca è composta dal fiume Sarca e le sue aree di protezione fluviale (dalla forra del Limarò alla foce del Lago di Garda), la riserva provinciale del lago di Toblino, i laghi di Cavedine e Santa Massenza con le loro aree di protezione lacustre, le riserve provinciali delle Marocche e del Monte Brione, il SIC del Monte Brento, del Bus del Diaol, le riserve locali Ischia di Sopra, le Gere e Val di Gola, l’area di Bosco Caproni. E’ previsto il suo ampliamento con l’inclusione delle rogge di Ranzo e di Calavino, del Rimone e di altre porzioni di territorio funzionali al miglioramento delle connessioni ecologiche. La Rete promuove un nuovo approccio al fiume, ai laghi e alle aree protette e ha, fra gli obiettivi, la ricerca di un’ottimale integrazione tra esigenze di conservazione, valorizzazione e riqualificazione degli ambienti naturali con lo sviluppo delle attività umane ed economiche; mantenere uno stato di conservazione soddisfacente per le specie e gli habitat dei siti Natura 2000; migliorare la capacità ecologica del fiume Sarca; promuovere la mitigazione e compensazione degli impatti idro-morfologici dei corsi d’acqua e dei laghi; perseguire il miglioramento della qualità chimico-fisica delle acque; migliorare il grado di fruibilità e accessibilità alle aree protette; recuperare e sviluppare i legami delle comunità locali con il fiume e le aree protette anche attraverso percorsi informativi e formativi; promuovere e qualificare l’offerta turistica sostenibile riconoscendo nel territorio il primo fattore di attrattiva.
sarche
La frazione di Sarche sorge a 249 metri sul livello del mare, al bivio della strada statale Gardesana occidentale con la strada statale per Ponte Arche, Tione e Madonna di Campiglio. Nella frazione di Sarche risiedono 410 abitanti. Il paese è sparso sul conoide del fiume Sarca che esce nel piano omonimo della gola del Limarò, incisa profondamente tra i calcari del Daìn Grant (Monte Casale) e del Daìn Picol (catena Gazza - Paganella). Il clima particolarmente mite e ventilato della zona microclimatica mediterranea della conca di Toblino, permette la coltura dell'olivo e la presenza di macchie di lecci. E' un paese piuttosto recente conseguenza della colonizzazione cinquecentesca dei luoghi dopo un'intensa bonifica. Le caratteristiche case coloniche sono opera settecentesca del Principe Vescovo Cristoforo Sizzo che impegnò gran parte delle sue rendite per migliorare e difendere dalle acque i terreni della Mensa principesco - arcivescovile. Egli fece erigere, fra l'altro, le solide muraglie del Sarca.
Già nel 1544 comunque, le rovinose piene del fiume furono controllate dagli argini di Gaudenzio Madruzzo, opera che interessò il vasto tratto di campagna tra la retta, il fosso, emissario del Lago di Toblino, e il muraglione del Maso del Gobo. Alla morte di Carlo Emanuele Madruzzo (1658) i luoghi passarono alla Mensa vescovile di Trento alla quale appartengono tuttora.
Il latifondo ecclesiastico delle Sarche trova la sua genesi, oltre che nell'acquisto del Piano del Sarca da parte di Giovanni Gaudenzio Madruzzo dei Comuni di Calavino, Madruzzo e Lasino (1541) e dalla sua conseguente bonifica, nella vendita di sei masi con annessi boschi fatta da Carlo e Francesco di Castelbarco alla Mensa vescovile. Attualmente il latifondo è tenuto ad azienda agricola diretta dalla stessa Mensa di Trento che possiede anche gran parte di Sarche. I possessi vescovili dei luoghi sono condensati nella Villa Vescovile, seicentesca, sede dell'azienda agricola ecclesiastica, restaurata nello scorso secolo dal vescovo C.E. Valusi, che vi morì. La villa è contornata da un giardino e un piccolo parco.
Già nel 1544 comunque, le rovinose piene del fiume furono controllate dagli argini di Gaudenzio Madruzzo, opera che interessò il vasto tratto di campagna tra la retta, il fosso, emissario del Lago di Toblino, e il muraglione del Maso del Gobo. Alla morte di Carlo Emanuele Madruzzo (1658) i luoghi passarono alla Mensa vescovile di Trento alla quale appartengono tuttora.
Il latifondo ecclesiastico delle Sarche trova la sua genesi, oltre che nell'acquisto del Piano del Sarca da parte di Giovanni Gaudenzio Madruzzo dei Comuni di Calavino, Madruzzo e Lasino (1541) e dalla sua conseguente bonifica, nella vendita di sei masi con annessi boschi fatta da Carlo e Francesco di Castelbarco alla Mensa vescovile. Attualmente il latifondo è tenuto ad azienda agricola diretta dalla stessa Mensa di Trento che possiede anche gran parte di Sarche. I possessi vescovili dei luoghi sono condensati nella Villa Vescovile, seicentesca, sede dell'azienda agricola ecclesiastica, restaurata nello scorso secolo dal vescovo C.E. Valusi, che vi morì. La villa è contornata da un giardino e un piccolo parco.
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Il lago di toblino ed il castello
Noto per le leggende romantiche e per le oziose vacanze della corte vescovile, Castel Toblino rappresenta un raro esempio in Trentino di fortificazione lacustre. Fu probabile castelliere preistorico, quindi romano, su un isolotto del lago, che, causa l'abbassamento delle acque, divenne penisola. Una lapide, importante per la sua rarità epigrafica (murata nel portico del castello) attesta che qui, nel III secolo, esisteva un tempietto dedicato al culto dei Fati (relativo alla tribù dei Tublinates?). Ben presto l'originaria funzione religiosa, venne sostituita da quella militare - strategica. Nel XIII secolo i Signori di Toblino vengono esautorati dai Signori di Campo, dell'omonimo castello giudicariese.In seguito, il castello fu incamerato dalla Chiesa di Trento (1459) e il cardinale Bernardo Clesio lo fece rifabbricare (1536 - 37) secondo il gusto proprio delle residenze castellane del Rinascimento: vi lavorarono anche alcuni fra gli artisti operanti nel Magno Palazzo del Castello del Buonconsiglio a Trento. Gli elementi cinquecenteschi predominanti sono dovuti alla successiva trasformazione (porticato e loggiato del cortile, archi a tutto sesto) voluta da Gian Gaudenzio Madruzzo. Dell'impostazione medievale s'individua la muratura a ponente (3 m. di spessore) e la torretta a nord - ovest dell'attuale perimetro. La torre cilindrica, quasi emblema del castello, si sviluppa per un'altezza di 20 metri, tanto da essere considerata un vero mastio, a rafforzamento del recinto che chiudeva la sommità dello scoglio fortificato. Nel 1703 subì la sfortunata sorte di tutti i castelli della Valle del Sarca posti lungo la direttrice delle truppe di Vendôme; nel 1848 fu caposaldo degli sfortunati Corpi Franchi; infine, per via di matrimoni, arrivò ai Wolkenstein. Lanciato turisticamente agli inizi di questo secolo, sfruttando il richiamo del Vino Santo e una leggenda di amori proibiti che vide protagonista l'ultimo erede dei Madruzzo, Carlo Emanuele, ha impressionato i viaggiatori d'ogni tempo. Descrissero tale atmosfera incantata personaggi della letteratura come Antonio Fogazzaro, Ada Negri, il poeta tedesco Scheffel.