Un articolo di Dario Ceccarelli del "Sole 24 ore" che intervista Paolo Cognetti, autore de "Le otto montagne"
Sembra una cosa molto strana, quasi inopportuna, parlare di montagna. Soprattutto durante queste feste, così caratterizzate da mille restrizioni e dall’idea che, anche senza divieti, non si possa fare niente. Come se fossimo sospesi in una bolla e tutti i rituali delle feste - anche andare in montagna - fossero impraticabili a prescindere. Le vacanze in montagna, in particolare sciare o prendersi una pausa in una baita tra una discesa e l’altra, tra gente spensierata con una bella birra e uno strudel di mele, sembrano appartenere a un altro tempo beato, di quando tutto questo non c’era e, dopo il pranzo di Natale e tutti gli auguri ai parenti, si caricavano sci e bagagli sull'auto e via si andava verso le piste con un’unica preoccupazione: che non ci fosse la neve, ma solo prati spelacchiati e una striscia di ghiaccio sparato dai cannoni. Quest’anno, ironia della sorte, di neve ce n’è quanta si vuole. Su tutto l'arco alpino, anche a quote basse. Chiedetelo agli albergatori, che ogni volta sembra di pugnalarli. Solo che per le note vicende, gli impianti di risalita sono chiusi. Non solo per evitare assembramenti nelle funivie, ma anche per evitarli dentro ai punti di ristoro, in quegli invitanti rifugi in legno con la stufa al centro della sala che irradia calore e la polenta fumante che ti aspetta sul tagliere. Tutto perduto allora? Meglio rimandare a giorni migliori e non pensarci più? Paolo Cognetti , 41 anni, noto scrittore di ambienti naturali, vincitore del Premio Strega nel 2017 per il best seller “Le otto montagne”, non la pensa così. Anzi, dice che questo è un buon momento per riscoprire certi posti che semmai, prima, erano troppo affollati o comunque lontani dall’idea di pace e di natura cui si associa la montagna. «Poi diciamola tutta», rincara Cognetti: «Scendere con gli sci non è vietato. Le piste ci sono. Ormai sono quasi battute. Il problema è un altro: che non si può salire con gli impianti. Pazienza, ci si può comunque arrangiare in tanti altri modi….». Ma tu cosa suggerisci a chi va comunque in montagna? «Di riscoprire la natura. E di provare qualcosa di nuovo. Anche con gli sci. Provare a salire con le pelli di foca e poi scendere giù. È molto divertente. Ovvio, bisogna fare più fatica e prendere qualche precauzione dove la neve è meno battuta. In certi casi forse è meglio farsi accompagnare da una guida, almeno la prima volta. Poi si va, ed è una piccola conquista. A me piace molto anche girare nei boschi. C’è silenzio, pace. Si possono vedere gli animali. Quasi stupiti di tanto silenzio. Sono sensazioni nuove. Soprattutto per chi va sempre su e giù con gli impianti». D’accordo, il tuo è un bel quadretto, da libro delle favole. Ma la realtà è che, senza impianti funzionanti, gli alberghi sono semivuoti. Tanta gente che vive di turismo invernale è ferma: il rischio è quello di un collasso economico. O no? «Non dirlo a me. Io abito in Val d’Aosta, vicino a Brusson, un posto abbastanza noto, che di solito per le feste si riempie di turisti. Molti miei amici che lavorano negli impianti e negli alberghi sono a casa. Molto preoccupati. Tra l’altro la Valle D'Aosta, a differenza del Piemonte e della Lombardia, non ha turismo interno. Arrivano tutti da altre regioni. Il problema però nasce prima: e nasce dal fatto che in montagna c’è una monocoltura dominante, quella dello sci da pista. Non va bene, bisogna diversificare. Per esempio nessuno impedisce lo sci di fondo. Oppure di muoversi con le ciaspole. Ci sono tanti modi, più economici più naturali, per fare una bella vacanza in montagna. Anche questi mega alberghi non sempre sono una risorsa…». In che senso? «Nel senso che hanno costi alti, presuppongono un turismo sempre di massa, da parco dei divertimenti. Ma la montagna è un’altra cosa. In certi casi funzionano meglio strutture più leggere, B&b, agriturismi per non più di quindici persone. È un altro tipo di vacanza, un altro tipo di cultura della montagna. Meno gente assembrata, spazi meno affollati. Un contatto con la natura meno invasivo ma più rilassante. C’è un grosso problema culturale alla base di tutto…». Culturale? Ma se si chiudono gli impianti, la montagna muore, dicono i gestori delle funivie. Dicono anche che sono loro a tenerla in ordine, a controllare che non ci siano frane o altre minacce… «Mah, i gestori sono quasi tutti pubblici, quindi questo lavoro lo si fa con i soldi dei contribuenti. Ma io dico un’altra cosa: che viene proposto solo un certo tipo di vacanza in montagna. Invece bisogna diversificare le proposte. Questo è un problema, che può peggiorare anche a causa dei cambiamenti climatici…». Spiegati meglio… «Dico una cosa banale: in futuro, e non troppo lontano, molte località sciistiche situate non molto in alto rischiano di chiudere per poca neve. O comunque per il clima più mite. Adesso, non domani, bisogna che si diano da fare per offrire qualcosa di alternativo allo sci da discesa. Bisogna reinventare il turismo invernale. E anche quello estivo. Aggiungo un’altra considerazione: visto che con lo smart working si può lavorare in remoto, chi ha la possibilità si è trasferito con la propria famiglia dalla città verso luoghi più piacevoli. Anche in montagna, magari non troppo in quota. Qualche paese si è ripopolato. Si vedono anche bambini. Per questo dico che nulla è immutabile, anche la montagna può evolvere. Invece si spera sempre che il prossimo inverno porti un sacco di neve. Può succedere, ma poi torniamo al punto di prima. Insomma, bisogna approfittare di questa crisi per ripartire con una nuova rinascita». Come hai vissuto questo anno di pandemia? «Abbastanza bene. Facendo lo scrittore, il silenzio e la concentrazione aiutano. Sono andati avanti nel mio prossimo romanzo. È successo anche ad altri scrittori. Certo, mi mancano dei contatti umani, ma pazienza. Ci sono dei tempi da rispettare…». Chiudiamo con una ventata di ottimismo: cosa diresti a chi va in montagna e non può sciare? «Lo ripeto. Gli direi di farsene una ragione di mettersi le pelle di foca e provare a fare sci alpinismo. O di fare delle gite nei boschi. Di prendere questo divieto come una nuova possibilità per fare una vacanza diversa, meno stressante e anche più a buon mercato. In natura bisogna sapersi adattare alle mutazioni. Abituiamoci anche noi. Magari poi ci piace».
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